Brexit o Remain: cosa succede se la Gran Bretagna RESTA nell’Unione europea

Se al referendum vincono coloro che vogliono che il Regno Unito rimanga nell’Unione europea, entra in vigore l’intesa tra Bruxelles e Londra, adottata dal Consiglio europeo del 18-19 febbraio 2016 che definisce le nuove condizioni di permanenza del Regno Unito nella Ue. Mario Monti l’ha definita una “RIDICOLA GENUFLESSIONE dei 27 al Regno Unito”.

Tre sono i temi principali:

  • il mercato unico, che garantisce la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali, da cui il Regno Unito non vuole assolutamente restare fuori;
  • le prestazioni sociali per i cittadini Ue di altri stati membri immigrati nel Regno Unito.
  • Unione bancaria ed euro, legate comunque al Mercato unico.

L’intesa di febbraio stabilisce che:

  • Il Mercato Unico (sotto la voce “competitività”) NON SI TOCCA perché come affermano i trattati è “un obiettivo fondamentale della Ue”. Anche se cambiano le altre condizioni (per esempio quelle sul Welfare che comunque riguardano la libera circolazione delle persone) per merci, servizi e capitali non ci saranno ostacoli, potranno continuare a circolare liberamente tra Uk e Ue. Questo significa che nessuno potrà imporre tasse doganali alle merci provenienti da UK e viceversa. Quindi Londrà continuerà a beneficiare di un mercato della presenza in un’area economica senza barriere che conta più di 500 milioni di consumatori. Questa è l’unica cosa dell’Ue che davvero interessa al Reno Unito.
  • Prestazioni sociali (Welfare). È la parte più importante dell’intesa, che richiederà – sempre che al referendum vinca “REMAIN” – alcune modifiche alla legislazione europea in materia di sicurezza sociale e libera circolazione delle persone.

Ecco cosa è scritto nell’accordo in materia di PRESTAZIONI DI SICUREZZA SOCIALE E LIBERA CIRCOLAZIONE:

La libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione è una parte integrante del mercato interno che comporta, tra l’altro, il diritto dei lavoratori degli Stati membri di accettare offerte di lavoro ovunque nell’Unione. I livelli diversi di retribuzione esistenti negli Stati membri rendono alcune offerte di lavoro più attraenti di altre, con conseguenti spostamenti quale effetto diretto della libertà del mercato. Tuttavia, i sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri, che la normativa dell’Unione coordina ma non armonizza, sono strutturati in maniera diversa e questo può di per sè attrarre lavoratori verso taluni Stati membri. È legittimo tenerne conto e prevedere, a livello sia di Unione che nazionale e senza creare direttamente o indirettamente discriminazioni ingiustificate, misure volte a limitare flussi di lavoratori di ampiezza tale da produrre effetti negativi sia per gli Stati membri di origine che per quelli di destinazione. Si è preso debitamente atto delle preoccupazioni espresse dal Regno Unito al riguardo, in vista di ulteriori sviluppi della legislazione dell’Unione e del pertinente diritto nazionale.

Questa premessa di principio comporta due cose rilevanti:

  1. La Gran Bretagna potrà modificare le regole sugli assegni familiari per i figli a carico, a favore dei lavoratori immigrati provenienti da paesi Ue. In pratica, se i figli risiedono in un altro stato membro da quello in cui risiede il lavoratore (la regola varrebbe anche per gli altri) il paese che eroga l’assegno familiare può adeguarlo alle condizioni dello stato membro in cui risiedono i figli. Per esempio, un rumeno che lavora in Gran Bretagna e ha i figli in Romania, avrebbe gli assegni familiari indicizzati a quelli erogati dalla Romania. La regola non vale per quelli che sono già in Gran Bretagna ma per quelli che arriveranno dopo il referendum.
  2. In caso di “afflussi eccezionali” di lavoratori e per periodi prolungati da uno o più Stati Membri, il Consiglio Europeo può autorizzare lo Stato membri di destinazione a limitare le prestazioni sociali non contributive per 4 anni dall’inizio del rapporto di lavoro. L’esclusione sarebbe totale all’inizio per poi ridursi progressivamente. Per gli extracomunitari avrebbe durata massima di 7 anni.

L’intesa approvata a febbraio stabilisce già che questo meccanismo di “salvaguardia” è applicabile alla situazione che si è creata nel Regno Unito che dopo l’allargamento non ha applicato le clausole per il periodo transitorio.

(NOTA: in virtù di questa regola, se per esempio Londra limita le prestazioni per i cittadini di un altro Stato membro, quest’ultimo non potrà attuare ritorsioni economiche in quanto il MERCATO UNICO – in cui Londra resta a pieno titolo – non si tocca!)

  • Il terzo punto riguarda la Governance economica (Unione bancaria e euro). In sintesi, il Regno Unito è e resta fuori dall’Unione bancaria e dalla moneta unica, perciò non partecipa ad eventuali salvataggi per garantire la stabilità della zona euro e se caso mai fosse necessario attingere in emergenza al bilancio dell’Unione europea a 28, dovrebbe essere immediatamente risarcito.
  • Ma poiché il Regno Unito resta nel MERCATO UNICO, qualsiasi ulteriore approfondimento dell’integrazione monetaria e dell’Unione bancaria (per esempio lo schema unico di garanzia dei depositi) dovrà essere concepito in modo tale da non danneggiare gli interessi del Regno Unito dal punto di vista della libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali. Quindi le regole dell’Unione bancaria dovranno essere adeguate per assicurare la PARITA’ di trattamento delle imprese bancarie all’interno del mercato unico. Per esempio, le banche inglesi non potranno essere discriminate nella loro attività nei 28 stati membri dalle regole dell’Unione bancaria. Detto ancora più semplicemente: euro e unione bancaria non dovranno intralciare il funzionamento del mercato unico. Una bella garanzia per Londra.

 

C’è infine un quarto tema, la SOVRANITA’. Sono più che altro questioni di principio, che però  in caso di “contagio” possono determinare passi indietro importanti per l’Unione.

In pratica, poiché i trattati europei stabiliscono che i 28 tendono ad una “Unione sempre più stretta” (Ever closer Union), l’accordo di febbraio sancisce che la Gran Bretagna non è vincolata a questo impegno.

Ma si va anche oltre, affermando che questo impegno previsto dai trattati e che comunque non vale per Londra, non implica necessariamente che le competenze dell’Unione possano essere ampliate e – anzi – potrebbero anche essere ridotte (questo è secondo me il passo indietro).

Inoltre viene data maggiore rilevanza alle decisioni dei parlamenti nazionali, in particolare nelle materie di libertà, sicurezza e giustizia, con implicazioni – a mio avviso – nella lotta al terrorismo e per la sicurezza comune.

Ecco il testo dell’accordo approvato dal Consiglio europeo di febbraio.