«Non è una questione di spread, di tassi o di condizioni, ma di liquidità. Anzi di illiquidità. Le banche non trovano più il denaro o lo trovano a condizioni tali che ne rendono impossibile l'impiego. Se la situazione non cambia, presto alle imprese non arriveranno più i fondi e così perderemo un sacco di opportunità». È preoccupato Luca Peli, presidente della IMT – azienda di medie dimensioni nata dalla fusione di tre marchi storici della meccanica di precisione made in Italy – per la stretta sul credito che, dalla crisi sul debito sovrano progressivamente colpisce a cascata le imprese. «Soprattutto le aziende di medie dimensioni utilizzano i prestiti a breve come leva per finanziare l'attività produttiva ma ormai le banche di credito commerciale non ne fanno quasi più. Quello che c'è bene, ma di nuovo non se ne fa». La novità è che mentre in passato c'era contrapposizione tra imprese e mondo del credito, con recriminazioni reciproche, oggi questi due mondi sono alleati, e non solo a livello dei vertici delle associazioni (come dimostra il "manifesto per la crescita" sottoscritto a fine settembre da Abi, Confindustria, Rete imprese, Alleanza Cooperative ed Ania), ma anche alla base. IMT ha tre stabilimenti in Italia (Bologna, Alessandria e Torino) con 400 dipendenti ed esporta quasi l'80% dei suoi 120 milioni di fatturato. Più dei due terzi dell'export vanno in paesi ad alta crescita. «Per sfruttare il momento positivo di questi mercati – spiega Peli – avremmo bisogno di aumentare il capitale circolante. È lo strumento che ci consente di finanziare la produzione una volta acquisito l'ordine e prima di arrivare alla consegna e al pagamento». Nel settore delle macchine utensili sono necessari dagli otto ai 15 mesi per sviluppare gli ordini e realizzare prodotti che spesso sono macchinari molto complessi e quasi sempre taylor made, su misura per le esigenze del cliente. A questi bisogna aggiungere altri tre mesi prima del pagamento. «Senza il sostegno delle banche per coprire i costi iniziali non potremmo lavorare». Ci sono settori produttivi che da questo punto di vista sono ancora più colpiti. Le costruzioni, che da tempo vivono una crisi profonda a prescindere dal credito, sono un esempio classico. Secondo il Banking Monitor di Intesa SanPaolo pubblicato venerdì scorso, nel terzo trimestre tre quarti delle banche interpellate hanno confermato la restrizione delle condizioni creditizie per le imprese. E sono poco meno quelle che fanno previsioni analoghe per l'ultima parte del 2011. Siamo ai livelli massimi degli ultimi tre anni, anche se ancora sotto i picchi del dopo-Lehman. «L'unica cosa che possiamo fare – chiude Peli – è avere un'attenzione maniacale per farci bastare quel poco denaro che c'è. Le banche fanno quello che possono, ma non nella misura che sarebbe necessaria per aumentare il nostro business. È un problema bestiale dover frenare di fronte a un mercato che cresce. Un vero peccato».
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