Se la quota di Irap che grava sul costo del lavoro fosse equiparata ad un’accisa, in quanto tassa indiretta e specifica, la parte riferibile alle esportazioni potrebbe essere rimborsata dall’erario alle aziende, senza che questa misura costituisca un aiuto di Stato per le autorità comunitarie. La proposta, alla quale si lavora da qualche mese, ha subìto un’accelerazione improvvisa lo scorso fine settimana, dopo l’incontro tra il presidente del Consiglio Mario Monti e i ministri Passera e Fornero, con l’a.d. di Fiat, Sergio Marchionne.
Tra le ipotesi sul tavolo per sostenere le attività di Fiat in Italia e rendere più competitive le esportazioni, questa sembrerebbe la più concreta, anche se al ministero dello Sviluppo stanno aspettando che l’azienda presenti in modo formale le proprie proposte, probabilmente martedì 2 ottobre.
Della misura, qualora dovesse realmente essere adottata, beneficerebbero tutte le attività produttive in proporzione alla quota di export. A formulare la proposta è stata Ucimu, l’associazione dei costruttori di macchine utensili (il cui associato più grosso, fino a quando la Fiat non è uscita da Confindustria, era la Comau) ed è stata messa a punto dallo studio veneziano di consulenza tributaria Tomasin che vanta un rapporto storico con l’associazione.
Il punto di partenza, spiega Giancarlo Tomasin al Sole 24 Ore, è il principio generale del commercio internazionale in base al quale sui beni esportati non devono gravare accise. Questo perché la libera concorrenza non sia falsata dalle diverse politiche fiscali di ciascun governo. Poiché l’Irap rappresenta tre tributi (sul reddito, sugli interessi passivi e sul costo del lavoro) con aliquota identica, Tomasin “estrapola” la componente sul costo del lavoro che “è senza dubbio un’imposta indiretta specifica e dunque analoga alle cosiddette accise”. Se è così, argomenta il tributarista, “l’Irap riferibile al costo del lavoro deve essere rimborsata per la quota di fatturato derivante dalle esportazioni, senza che ciò si configuri come un aiuto di Stato”. Esemplificando: "un’azienda che paga un’IRAP di 150, di cui 100 riferibili al costo del lavoro ed esporta il 60 % del fatturato, dovrebbe poter recuperare 60".
È difficile quantificare il beneficio per ogni singola azienda, essendo questo legato a due variabili: l’incidenza del lavoro nella struttura dei costi aziendali e la percentuale di esportazioni sul fatturato complessivo. Certo sarebbe un bello stimolo a cercare nuovi mercati. In totale, comunque, si stima una riduzione di 4-5 miliardi di Irap sulle imprese private su un ammontare che nel 2011 è stato di 23,9 miliardi di euro.
Risulta che al ministro dello Sviluppo stiano valutando le cifre, anche per capire se si può trovare un’adeguata copertura finanziaria. Questo, infatti, è di sicuro lo scoglio più difficile da superare. L'altro è la Commissione europea che dovrebbe avallare l’impianto teorico e considerare un'accisa l’Irap sul lavoro. Magari, se necessario, dopo averla trasformata in un’imposta autonoma per definirne meglio il carattere di imposta indiretta e specifica.