A cinque anni di distanza l'epilogo della vicenda Alitalia è quello che molti avevano previsto: l'ex compagnia di bandiera finisce ai francesi, a prezzi di saldo e dopo che i contribuenti italiani, nel 2008, si sono accollati 3 miliardi di debiti. L'operazione – è bene ricordarlo soprattutto al ministro dello Sviluppo, Maurizio Lupi – fu uno degli argomenti della campagna elettorale del Pdl e in particolare di Silvio Berlusconi che fece della difesa dell'italianità di Alitalia un cavallo di battaglia. L'obiettivo era chiaro: convincere gli elettori che solo uno governo guidato dal centrodestra avrebbe potuto difendere le imprese e l'economia italiana per ottenere così i consensi elettorali. Probabilmente fu una delle mosse decisive per vincere le elezioni e oggi ne vediamo le consueguenze: non solo per Alitalia, che probabilmente finirà comunque ad Air France (la quale giustamente oggi si sta facendo pregare e sembra disposta a pagare un decimo di quanto avrebbe tirato fuori nel 2008) ma anche i conti pubblici italiani. I debiti Alitalia di cui la cordata di "patrioti" chiamati a raccolta da Berlusconi e guidati da Intesa SanPaolo (che aveva tutto l'interesse a fare la fusione tra Alitalia ed AirOne) non aveva voluto farsi carico, gravano oggi sulle tasche di tutti i noi. Altro che Imu…
Ancora una volta l'interesse particolare (in questo caso di un partito e del suo leader) ha prevalso sull'interesse collettivo. Altro che italianità. Dov'era allora il ministro Lupi che oggi dice "non ci sono assolutamente preclusioni" nei confronti dei francesi?