“Regole chiare, applicate con imparzialità, sono essenziali. Ma lo è anche la capacità di prendere decisioni corrette e tempestive alla luce delle circostanze. Nel caso delle banche questo richiede la possibilità di ricorrere a reti di protezione pubbliche, e in una Unione come la nostra anche ad una rete sovranazionale in presenza di rischi sistemici e rischi di contagio.
Il rispetto delle regole sulla tutela del mercato e della concorrenza resta indispensabile. Tuttavia, nell’affermare il ruolo dello Stato nella prevenzione e nella risoluzione delle crisi – e non solo nelle crisi finanziarie – io credo che una maggiore importanza debba essere data agli aspetti che distinguono le politiche disegnate per attivare i meccanismi di mercato dagli aiuti di Stato distorsivi della concorrenza”.
Questi due passaggi, nelle conclusioni del discorso tenuto giovedì da Visco a Firenze, aiutano a capire meglio la situazione del sistema bancario italiano e la necessità di andare oltre Atlante che con i suoi 4,2 miliardi, di cui solo il 30% per le sofferenze, è solo un “piccolo passo nella giusta direzione”, per citare Mario Draghi.
Tra le ipotesi c’è anche quella di ricorrere al modello delle “banche di interesse nazionale”, le BIN costituite nel 1936 per superare la crisi dei primi anni 30. E’ una soluzione possibile senza cadere nella trappola degli “aiuti di Stato”. Ma gli ostacoli sono tanti. Sono tutte quelle poltrone in decine di consigli di amministrazione, ognuna delle quali serve a presidiare una minuscola nicchia di potere, a conferma che il sistema bancario italiano “è malato di governance più che di finanza” ed è nelle mani di piccoli e piccolissimi potentati locali che troppo spesso usano il credito come mezzo per l’esercizio del potere piuttosto che come strumento per innescare lo sviluppo economico.