Torna Limonov. Ho ricevuto ieri un lungo commento all’articolo di Luca Ricolfi pubblicato domenica sul Sole 24 Ore, sul voto con cui gli americani l’8 novembre hanno scelto il loro nuovo presidente, Donald Trump. Ve lo propongo, in versione (quasi) integrale, anticipando che stavolta Limonov s’è proprio arrabbiato.
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Attirato dal titolo “In quel voto liberatorio la Waterloo del politicamente corretto “ mi sono lanciato nella lettura di un articolo del Sole 24 Ore. A metà del testo mi sono pizzicato: si tratta forse di un pamphlet mascherato del presidente del Partito Socialista Vallone, Elio Di Rupo, pubblicato in traduzione su gentile concessione del giornale Lutte Ouvriere?
Pare di no. Il suo autore è un noto professore universitario e presidente della fondazione Hume, che dovrebbe, visto il titolo, sostenere, e combattere per, tesi compatibili con il liberismo non con il suo contrario.
Il professore Ricolfi ci dispensa invece la summa del pensiero popolar-generico-grillino: finalmente un “vaffa”ai tromboni che ci impongono tutte queste regole di comportamento, tipo non discriminare sulla base della nazionalità, del sesso, della religione; che ci costringono a accogliere questi straccioni di siriani e africani (in America sono messicani, latini e asiatici). E la colpa del “vaffa” è ovviamente nostra (quelli del politicamente corretto) perché non abbiamo capito la “metà ” dell’elettorato.
Questa straordinaria logica per cui tu sei razzista o voti per un razzista ma la colpa è mia, raggiunge l’apice con l’analisi del voto. Secondo il professor Ricolfi, un Presidente eletto con la minoranza dei voti espressi non è una stortura del sistema elettorale americano (forse ha dimenticato che da mesi proprio questa questione è al centro del dibattito sull’Italicum di casa nostra) di cui si può lungamente discutere la saggezza (meglio un sistema più rappresentativo ma tendenzialmente instabile oppure un sistema secco come i grandi elettori che assicura una governabilità inflessibile ma è debole nella legittimità sostanziale del voto?). Per lui, il risultato di Trump rappresenta la metà dell’America. Punto. Come sia giunto a questa abnorme conclusione che è lontana almeno 15 punti percentuali dal 50% dell’elettorato non è dato sapere.
E quindi arrivo al dunque. Nella chiacchiera da salotto si stanno perdendo di vista le radici della civiltà europea che ha prodotto nel corso di due secoli uno straordinario fiorire di ricchezza e grandezza per ogni strato della nostra popolazione.
La difesa indefettibile, senza se e senza ma, dei principi della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo deve restare al centro dell’azione di noi europei. Per il bene del continente, per preservare l’avventura dell’Unione europea e per proteggere l’Italia da rigurgiti del fascismo che pur sconfitto non è mai completamente scomparso. Quella dichiarazione ci impone di non discriminare mai e in nessun modo.
Ricordare che la Convenzione sui Rifugiati del 1951 fu conclusa per proteggere milioni di profughi tedeschi deve guidare noi europei nel nostro dovere nei confronti di coloro che oggi si trovano nelle stesse situazioni.
Ricordare che la libertà e la non discriminazione sono il fondamento del libero commercio e quindi della nostra ricchezza attuale è un servizio reso alla verità.
Confondere questi principi, che non esito a definire sacri, con il politicamente corretto da Galateo di Monsignor Della Casa farebbe ridere se non fosse il campanello d’allarme di una deriva che non è più accettabile.
È davvero ora di smetterla di correre dietro all’ultimo che parla: non necessariamente ha ragione. Trump e i suoi fanatici certamente no.
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L’insostenibile leggerezza di Brexit
Bratislava, l’Unione europea e i dolori del giovane Renzi (ma anche gli errori di Romano Prodi)