Fondi europei: realtà, pregiudizi e… comunicazione

I fondi europei fanno bene all’immagine dell’Europa?  E’ possibile superare i pregiudizi e comunicare i successi della politica di coesione per evitare che nel prossimo bilancio pluriennale dell’Unione le risorse per i fondi strutturali subiscano un pesante ridimensionamento a vantaggio delle nuove priorità della Ue? 

Parto da un piccolo episodio che mi è capitato la scorsa estate. Mi trovavo in un piccolo centro appenninico in una regione del Sud Italia, una delle cinque regioni meno sviluppate in cui si concentra la parte più importante dei fondi europei destinati all’Italia.

Una delle tante  ”aree interne” italiane.

 E’ un paesino di poche centinaia di abitanti tenuto benissimo, in cui le risorse nazionali e comunitarie sono state spese per sistemare le strade, l’illuminazione pubblica, la scuola, recuperare vecchi palazzi e trasformali in piccoli musei, ma anche organizzare la raccolta dei rifiuti in modo efficiente, aprire una casa per anziani…. Tutte cose che migliorano la qualità della vita in una zona altrimenti destinata a spopolarsi.

Tra le iniziative finanziate da politiche pubbliche c’è una rievocazione storica a cui per una quindicina d’anni di seguito ha partecipato quasi tutto il paese.

La manifestazione nel tempo ha valorizzato il centro storico e ha portato decine di migliaia di visitatori a scoprire questo piccolo borgo ormai noto anche fuori regione. Sono nate attività economiche di un certo rilievo per il contesto, il prezzo delle case e dei terreni non ha subito i crolli registrati altrove. È cresciuto il reddito medio degli abitanti, con benefici anche per i comuni limitrofi. Nulla a che vedere con il degrado urbano e sociale che a volte troviamo in alcuni centri grandi e piccoli del Sud Italia.

Ma il risultato più importante, secondo me, è stata la crescita di ciò che i sociologi chiamano “capitale sociale”. Ciascuno dei 350 abitanti si sente partecipe e corresponsabile di quanto avviene nel paese.  Mantiene le strade pulite, gli arredi urbani in ordine, cura l’aspetto della propria abitazione. Dà il suo contributo perché le cose funzionino. Tutti vivono meglio, anche chi in consiglio comunale è all’opposizione.

Cosa c’è che non va in questa piccola storia di sviluppo locale? Nell’elegante bacheca per gli avvisi comunali vedo un volantino che annuncia con toni enfatici un finanziamento di alcune decine di migliaia di euro grazie al quale quest’anno si potrà ripetere la manifestazione storica sospesa l’anno scorso per mancanza di fondi.

Poi leggo: “Si ringraziano il presidente della regione e il suo segretario particolare tal dei tali”. I 50mila euro arrivano dal Por e quindi dall’Unione europea, ma il merito va indiscutibilmente al “segretario particolare” del presidente. Nel piccolo borgo, quel presidente e il suo segretario troveranno eterna gratitudine mentre per l’Europa e per i fondi strutturali neppure una parola o una bandierina. Nessuno saprà mai che quell’iniziativa, utile sia dal punto di vista economico che da quello sociale, che ha contribuito a produrre un cambiamento strutturale, è stata realizzata grazie alle politiche di coesione della UE.

Questo è solo l’ultimo episodio che mi è capitato in giro per l’Italia. Potrei raccontarvi della reggia di Venaria, alle porte di Torino, diventata uno dei siti turistici più visitati in Italia dopo il Colosseo, gli Uffizi e  Pompei. Sito Unesco dal 1997, è stata restaurata tra il 1999 e il 2007 con il cantiere più grande d’Europa nel settore dei beni culturali aperto grazie all’utilizzo virtuoso delle risorse del Fondo europeo per lo sviluppo regionale. Ma l’intervento, che ha dell’incredibile per chi ha visto in che condizioni era ridotta la residenza sabauda prima del 1999, è segnalato solo con una timida targhetta che il visitatore si lascia alle spalle senza vederla all’uscita della reggia.

E quanti sanno in Italia che i lavori straordinari negli scavi di Pompei dopo i crolli degli anni scorsi si stanno realizzando grazie a risorse Fesr? Lo stesso o quasi vale per la Reggia di Caserta, la residenza voluta da Carlo di Borbone e realizzata dal Vanvitelli nel 18esimo secolo, che pur essendo ancora in parte un cantiere, avrà quest’anno un incremento di visitatori superiore al 30%.

Questi pochi esempi secondo me dimostrano una cosa molto semplice: ci sono interessi divergenti tra i numerosi (troppi?) attori coinvolti nella lunga filiera che da Bruxelles fa affluire le risorse fino al piccolo comune o alla piccola impresa. Ognuno di questi attori ha una parte importante: l’Unione europea, lo Stato membro, la regione, il comune. Ma ciascuno di questi attori, quando comunica con l’opinione pubblica di riferimento tende ad attribuirsi tutto il merito di un intervento o di una politica. La mia impressione è che sul territorio, in periferia, dove vivono milioni di elettori e cittadini europei, l’Unione europea sia di gran lunga la parte più debole, la meno rappresentata. Il suo ruolo e la sua immagine via via perdono di intensità, sbiadiscono, spesso lasciando spazio ai “segretari particolari” di cui sopra, che non sono una caratteristica esclusiva del Mezzogiorno d’Italia e sanno benissimo come trasformare in consenso la complessità, a volte inevitabile, della burocrazia, e i pochi margini di discrezionalità offerti dai regolamenti.

Sui fondi europei si costruiscono carriere politiche, diventano argomento di campagna elettorale, anche a livello nazionale, ma aperte le urne il tema perde interesse e nessuno o quasi se ne occupa più.

I risultati si vedono nell’Eurobarometro: la maggioranza dei cittadini europei non ritiene che la politica di coesione e i fondi strutturali abbiano un impatto concreto sulla vita di tutti i giorni. E purtroppo le conseguenze si vedono anche in molti risultati elettorali.

C’è poi la questione dell’accesso alle informazioni, strettamente connessa alla comunicazione.

“Le amministrazioni non sanno comunicare” riconosceva nei giorni scorsi un amministratore locale. “La comunicazione viene usata a livello politico oppure resta un adempimento per il livello tecnico”.

In un  caso e nell’altro, non è rivolta ai cittadini. E questo non è riferito solo alle regioni. Per quanto mi riguarda anche da ministeri, agenzia per la coesione, governo in generale è sempre molto difficile ottenere informazioni che non siano propaganda. Bisogna essere appassionati ed esperti per sapere in quale pagina del sito della Ragioneria generale dello Stato si trovano i dati aggiornati sulla spesa dei fondi europei in ciascuna regione, monitorati dall’Igrue, l’ispettorato generale del Tesoro per i rapporti economici con l’Unione europea. Il portale Open coesione per l’Italia ha funzionato bene all’inizio, ora un po’ meno.

La stampa, i giornalisti, non siamo senza responsabilità. Con l’alibi della complessità di una materia per la quale le promesse di semplificazione sono state più volte disattese o addirittura contraddette, ci limitiamo troppo spesso a riprendere acriticamente un comunicato stampa, magari scritto male, diventando a volte strumento più o meno inconsapevole  di campagne denigratorie verso avversari politici o di consulenti a caccia di contratti.

Vi risparmio gli esempi. In periferia il problema è ancora più grave: i giornali non hanno le risorse e spesso neppure l’interesse per formare un cronista su questi argomenti che difficilmente aumentano il numero di copie vendute o i click.

Per usare una metafora, il faro dell’informazione illumina il caso di cronaca, l’inchiesta per truffa con l’imprenditore, il politico o il faccendiere di turno. Ma il cono di luce finisce per abbagliare il lettore e spesso nasconde tutto ciò che si trova nella zona lasciata in ombra, molto molto più ampia.

Occorre fare in modo che il faro non si blocchi, che il fascio di luce illumini anche le tante Venaria, o le tante piccole e medie imprese che grazie ai fondi europei hanno innovato, sono cresciute e si sono affacciate sui mercati internazionali.

Due piccolissime e modeste proposte.

La prima – più banale – è trovare il modo di imporre sul serio ai beneficiari pubblici e privati la condivisione dei meriti con “l’Europa” e non appropriarsene in modo esclusivo, relegando – quando va bene – il logo sfuocato della Ue in un angolino in basso della locandina. La comunicazione dei progetti e sui progetti dovrebbe essere diretta ai cittadini e impostata in chiave europea, con il coinvolgimento e il supporto delle strutture comunitarie. L’obbligo, che è già previsto, dovrebbe essere fatto rispettare, anche con sanzioni.

Cito ancora l’esempio di Venaria: sul sito web della reggia c’è di tutto, compresa la storia del restauro e la visita virtuale. Ma non si cita mai l’Unione europea se non in un PDF che ho trovato solo dopo un’ostinata ricerca, allegato alla generica voce “finanziamenti” della sezione  “restauro” della sottosezione “per saperne di più” della sezione “Esplora”. Dopo aver fatto le somme si scopre che su 240 milioni di euro spesi per l’intervento, 200 milioni – quasi l’85% – sono giunti dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale e solo 40 dallo Stato italiano. In primo piano, in ogni caso, c’è l’elenco dei finanziamenti nazionali.

Venaria è uno di quei casi in cui il logo europeo dovrebbe essere in evidenza nella home page, proprio ad evidenziare il ruolo dell’Europa. E’ una storia di successo, frutto del buon lavoro realizzato dalle autorità europee e italiane con risorse comunitarie (soprattutto) e nazionali. Dovrebbe essere una storia simbolo di risorse utilizzate bene, da raccontare a tutti i visitatori di questo gioiello. Invece c’è solo quella targhetta, che resta invisibile ai più.

Una strada più impegnativa, e passo alla seconda proposta, è  provare a far sentire la voce dell’Europa in modo più diretto ai milioni di europei che vivono alla periferia dell’Unione, per i quali Bruxelles non è più una città ma è diventata quasi un’entità soprannaturale, una sorta di divinità minacciosa evocata nei titoloni dei giornali e dei Tg ogni volta che bisogna imporre regole e divieti. Un Leviatano da cui bisogna difendersi o perlomeno stare alla larga.

Un esempio significativo è il modo in cui è stato “spiegato” in Italia il bail-in per evitare di pagare con i soldi dei contribuenti il salvataggio delle banche in crisi.

Personalmente ho trovato molto utile l’esperienza della “Settimana europea delle regioni e delle città”. Iniziative analoghe, anche in forma itinerante negli Stati membri o nelle regioni che più beneficiano dei fondi strutturali, avrebbero un’efficacia molto più capillare in termini di comunicazione con i cittadini, per risollevare dalla base l’immagine malconcia dell’Unione. Perché un siciliano, un pugliese o un campano dovrebbero cambiare atteggiamento nei confronti dell’Unione europea dopo aver visto o letto di un bel progetto realizzato a Molenbeeck o in un qualsiasi altro quartiere di Bruxelles?

I cittadini europei hanno bisogno di sapere come sono stati spesi i soldi europei nella loro regione, nella loro provincia, nel loro comune, partendo dal presupposto che i casi virtuosi siano la larghissima maggioranza. SE COSI’ NON FOSSE, PARLIAMONE.

Un’ultima considerazione sulla quotidianità della comunicazione. Un comunicato stampa su una vicenda locale, si tratti di fondi europei, di aiuti di stato per un aeroporto o altro, quasi mai interessa le testate giornalistiche nazionali presenti a Bruxelles né  arriva con tempestività e con precisione ai giornali locali. Ci sono le agenzie di stampa, è vero, ma il contatto diretto tra il giornalista e la fonte è molto più efficace per entrambi.

Mi rendo conto che una presenza così forte e capillare sul territorio comporterebbe uno sforzo eccezionale, ma il momento per l’Unione è eccezionale. Del resto, non credo che organizzare gli open days a Bruxelles come sono stati organizzati finora sia meno complesso e oneroso per il Comitato delle Regioni e per la Commissione.

Credo che in questo senso il contributo dei parlamentari europei nei rispettivi territori di riferimento potrebbe essere molto prezioso.

(dall’intervento al convegno “Fondi europei: realtà e pregiudizio” organizzato al Parlamento Europeo il 12 ottobre 2016 dal Michela Giuffrida, europarlamentare e membro della commissione Sviluppo regionale, a cui hanno partecipato la Commissione europea rappresentata dalle DG Budg e della DG Regio, il Direttore dell’Olaf Giovanni Kessler, i vice-presidenti italiani del Parlamento europeo David Sassoli e Antonio Tajani, il Generale Francesco Attardi, AFCOS Italia, Comandante del nucleo della Guardia di Finanza per la repressione delle frodi nei confronti dell’Unione Europea)

  • arthemis |

    @ Alberto:

    il “problema” di buona parte dei fondi EU è che per averli devi presentare un piano (che spieghi cosa vuoi fare, come, e anche come copri la parte nazionale di cofinanziamento), e via via devi mostrare quanto hai fatto per avere i pagamenti parziali. I centri di ricerca e le aziende italiani non se la cavano così male, il problema sono le PA…

  • Alberto |

    Tutta fuffa: l’Italia ogni anno versa all’UE 7 miliardi di euro più di quanti ne riceva. Quindi questi fondi non sono altro che una parte del bottino che l’UE sottrae ogni anno all’Italia: altro che coesione e gratitudine…

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