L’export ai tempi dell’embargo: il caso Iran

Sul Sole di oggi ho pubblicato un lungo articolo sulle preoccupazioni delle imprese italiane in vista delle nuove sanzioni europee nei confronti dell'Iran, che hanno l'obiettivo di dichiarato di togliere al paese mediorientale qualsiasi risorsa, soprattutto finanziaria ma non solo, che possa essere utilizzata per completare il progamma di armamento nucleare e di qualsiasi altra arma di distruzione di massa. Nel raccogliere i dati mi sono reso conto di alcuni particolari che, senza provare alcunché, sono però più che un indizio sulle strade alternative che i flussi commerciali quasi naturalmente trovano quando la via maestra si blocca.

Prendiamo il caso delle macchine utensili (quelle macchine, cioè, che servono a produrre altre macchine e sui cui c'è un controllo ferreo per far rispettare l'embargo). Nel 2010 l'Iran era all'ottavo posto tra i paesi di destinazione del nostro export di macchine utensili, con una crescita del 155% rispetto al 2009. Nel primo semestre, era addirittura al terzo posto, prima cioè degli Stati Uniti, in crescita di oltre il 400% sul primo semestre 2009. Poi nell'estate del 2010 è scattato l'embargo Onu e le vendite si sono fermate. L'evidenza è nei dati Ucimu del 2011: l'Iran è scomparso dalla lista dei primi venti. I dati della Camera di commercio italo-iraniana evidenziano che nei primi otto mesi dell'anno scorso le vendite italiane di macchine utensili in Iran sono crollate di quasi il 68% riducendosi ad un terzo. Nell'elenco non è comparso nessun altro paese dell'area che potrebbe essere indiziato di triangolare l'import iraniano di macchine, a meno che non si voglia attribuire alla Turchia un ruolo comunque marginale: le sue importazioni sono aumentate del 66% ed è salito dall'11esimo all'ottavo posto. Ma già l'anno prima i suoi acquisti crescevano del 40%, sostenuti dalla domanda di un'economia in forte sviluppo. E' andata in modo molto diverso in altri settori. Per esempio nella meccanica varia e affine.

Secondo i dati della federazione Anima (che nel macrocomparto dell'energia rappresenta anche prodotti destinati alla produzione e all'utilizzo del'energia, macchine e impianti per l'industria chimica e petrolifera e per il montaggio industriale) nel primo semestre 2011 l'export complessivo verso gli Emirati Arabi Uniti è aumentato del 136%, tanto da portare gli EAU al sesto posto nella classifica dei migliori clienti dell'industria italiana del settore, alle spalle di Germania, Francia, Usa, Uk e Spagna. Una crescita che diventa del 617% per le turbine a gas (al secondo posto dopo gli Usa) e del 201% per le pompe. L'Iran, che comunque era un buon cliente, è sparito dalle "mappe", salvo quelle delle turbine idrauliche per le quali è il quarto migliore cliente ed è cresciuto del 20%.

Indizi. Nulla di più. Possono bastere a chi vuole mettere in discussione l'efficacia di queste misure?

  • Uniti! |

    Giuseppe@, Il paese delle imprese, i davide senza rete della farmaceutica, il sistema paese italia perde i pezzi migliori! Un grazie al sole24 per dare una scossa al sistema ITALIA! Le aziende ital­iane – buone pro­tag­o­niste di nic­chie di mer­cato in vari set­tori, hanno davanti a se, secondo me, solo la fusione o l’incorporazione tra loro, ovvero, aumento delle dimen­sioni, delle masse, taglio dei costi, con­seguente aumento della pro­dut­tiv­ità per dipen­dente. Purtroppo ciò non avviene, per quando ne leggo ho la percezione che per la stra­grande mag­gio­ranza degli impren­di­tori ital­iani è molto meglio arare il pro­prio orto e vendere le carote in con­cor­renza con i pomodori che nascono nell’orto del vicino, piut­tosto che pro­durre in forma comune insalate di pomodori e carote da vendere sul mer­cato mon­di­ale.
    Ci sono aziende come Ansaldo Breda, Ansaldo Sts, Avio, Breda Menarini, Fincantieri, Firema, Fiat Industrial, Elettronica, Magnaghi Aeoronautica, Engineering che con il supporto della Cassa Depositi e Risparmi, potrebbero ricostruire 2 filiere industriali e colossi nei trasporti capaci di competere con i colossi stranieri. Stesso discorso in altri settori, Farmaceutica, Chimica (Polimeri Europa come polo aggregante deconsolidato dal gruppo ENI, p.e. con Novamont, Mossi&Ghisolfi, Mappei, Radici ed altre). Fusione tra Telecom Italia e Poste con lo stato che diventerebbe azionista di maggioranza relativa, e soprattuto, si creerebbero gruppi in grado di investire in ricerca e innovazione su larga scala (anche in Italia). Mi rendo conto che il mix tra aziende a conduzione familiare, tra l’altro di prima generazione (Menarini, Chiesi, Sigma-tau, Ferrero, Barilla ecc) e aziende a capitale in prevalenza pubblico sia difficile da combinare. L’alternativa; é già in atto, cioè L’Italia é terra di conquista per i colossi esteri.
    Mi piacerebbe fare queste domande a tutti gli impreditori/manager pubblici citati ed anche a Lei: perchè non si capisce che una questione di sopravivenza trovare una sintesi tra aziende a capitale italiano? Non mi fraindenta, non è una questione, prettamente di dimensione/testosterone, ma bensi, la consapevolezza che l’Italia, anche a 150 anni dalla sua unità, non è una, ma ha cento volti diversi, ognuno dei quali con diritto di cittadinanza, sia negli aspetti sociali e culturali (e questa molte volte rappresenta la straordinaria ricchezza dell’Italia), che negli aspetti industriali e commerciali e questo invece è il grande limite di una nazione con sessanta milioni di abitanti, chiamati a confrontarsi con una economia globale e prodotti internazionali. Solo Uniti vinceremo le sfide di creare posti di lavoro in Italia ed essere vincenti sui mercati internazionali. Corriamo il rischio di perdere una cosa fondamentale; cioè…di essere padroni del proprio destino!!

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