Nell’accordo sui fondi Ue tanto fumo e poco arrosto

Molto fumo e poco arrosto nell'<<accordo>> tra l'Italia e la Commissione europea sulla rifocalizzazione della spesa dei fondi strutturali. Non cambia nulla se non il fatto che l'Italia potrà limitare il proprio contributo di cofinanziamento al 25% anziché al 50% come previsto fino a oggi.

La deroga non è una novità: prima di noi l'hanno chiesta e ottenuta Spagna, Grecia e Portogallo. Una compagnia davvero poco confortante.  In pratica (si veda il Sole 24 ore del 18 agosto a pagina 2), vista la scarsità di risorse a disposizione degli Stati, per evitare che il mancato cofinanziamento nazionale portasse al disimpegno (perdita) delle risorse comunitarie, si è deciso che basta il 25%. Questo fa sì che le autorità nazionali (governo ma anche enti locali) possano andare avanti nei programmi di spesa finanziati con i fondi strutturali, anche se non hanno tutti i soldi previsti. In totale, potranno spendere 8 miliardi in meno del previsto di risorse nazionali mentre potranno continuare a spendere tutti i soldi europei.

NON si tratta, quindi, di 8 miliardi in più (come ha scritto qualcuno e come lascia pensare un breve testo pubblicato sul sito del ministero) ma di 8 miliardi in meno da spendere. In teoria, ma solo in teoria, queste risorse nazionali potrebbero essere dirottate su altri programmi o verso le regioni del Nord. In pratica, poiché i soldi nelle casse pubbliche non ci sono, è molto probabile che rimangano solo una cifra sul display di qualche computer al ministero dell'Economia, nonostante l'accordo tra il ministro Fitto e i governatori dica che queste (ipotetiche) risorse debbano "restare" nelle regioni del Sud.

Si tratta di fondi "usciti" dal cofinanziamento e che dunque l'Italia non è obbligata a spendere.

L'altro punto dell'accordo, spacciato per "novità" prevede che la rifocalizzazione della spesa su <<istruzione, banda larga, infrastrutture e nuova occupazione>>.  <<Su questi settori d'intervento – afferma il sito del ministero degli Affari regionali – il Governo e le Regioni del Sud hanno raggiunto un accordo per rimodulare i circa 8 miliardi di euro di fondi comunitari del piano 2007-2013, concentrando le risorse su un numero limitato d'interventi destinati al Mezzogiorno>>. L'accordo tra Fitto e le Regioni è quello <<sottoposto>> dal governo al commissario Ue agli Affari Regionali, Johannes Hahn, nell'incontro di oggi, lunedì 7 novembre.

A parte tutto quello che abbiamo già detto sugli 8 miliardi, in realtà, c'è un <<accordo>> per fare cose che comunque si potevano già fare prima. Cosa impedisce di finanziare con i programmi operativi in vigore progetti per lo sviluppo della banda larga, l'occupazione, l'istruzione e le reti ferroviarie? Non c'è un solo chilometro di ferrovia, da qui al 2015, che non sarà cofinanziato dal FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale). L'unica cosa certa, dunque,  è che diminuirà il cofinanziamento nazionale di circa 8 miliardi, e le altre (scarse) risorse nazionali saranno concentrate su progetti <<certi>>. 

Sugli 8 miliardi, i governatori del Sud e Fitto, giustamente, temono gli appetiti del ministero dell'Economia, Tremonti, perciò hanno voluto sottolineare che sono fondi che, se mai ci saranno, dovranno essere spesi al Sud. Tremonti, invece, potrebbe volerli spendere per sostenere le imprese del Nord in difficoltà. E' già accaduto per i fondi Fas (vedi il Sole 24 Ore del 1 novembre) Ma in questo clima da fine impero queste prese di posizione appaiono velleitarie. 

Ultima cosa: il sottosegretario Gianni Letta ha voluto dare ancora più enfasi all'accordo con Bruxelles, sostenendo che «dà il via, con sette giorni di anticipo, agli impegni assunti dal Governo italiano italiano con la lettera al presidente della Commissione europea e al presidente del Consiglio europeo per un migliore utilizzo dei fondi europei».

Non è il modo migliore per cominciare a dare seguito agli impegni presi dal premier con i partner europei. Ma forse in una giornata come quella di oggi, tra dimissioni annunciate, smentite, auspicate e negate, non si poteva pretendere di più. Neanche da Gianni Letta.

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