Per Intesa SanPaolo tornano i fantasmi della vecchia Parmalat. E non solo

Spuntano nuove grane per Intesa SanPaolo e dal passato riemergono i fantasmi della vecchia Parmalat. Il capitolo "rischi" del bilancio 2010 e del prospetto dell'aumento di capitale che si chiude domani, venerdì 10 giugno, si arricchisce di un nuovo paragrafo. A gennaio scorso la banca è stata chiamata in causa insieme ad Eurizon dalla svizzera Allegra Finanz di Zurigo e da altri sedici investitori istituzionali esteri per il private placement di 300 milioni della Parmalat Finance Corporation sottoscritto interamente dalla controllata Nextra nel 2003. Su questo collocamento nel 2004 Nextra trovò un accordo transattivo con l’amministratore straordinario di Parmalat, Enrico Bondi. Oggi gli investitori chiedono un risarcimento. 

L’iniziativa è rivolta anche contro altri «primari istituti bancari internazionali» accusati insieme a Intesa di «aver consapevolmente contribuito… ad occultare le reali condizioni economiche del gruppo Parmalat mediante operazioni finanziare che ne hanno artificiosamente consentito la sopravvivenza, con l’effetto di scaricare il rischio di insolvenza sugli investitori». Questo è scritto nei documenti di Intesa SanPaolo. Il risarcimento complessivo richiesto è di 129 milioni, più interessi e rivalutazione. La prima udienza è fissata per fine settembre.

Per quella data potrebbe essersi risolta anche un'altra vicenda molto più rilevante e che vede la filiale di New York di Intesa SanPaolo sotto inchiesta da parte della procura distrettuale di Manhattan dal 2008 per violazione delle leggi americane sull'embargo e sull'antiriciclaggio emanate per contrastare il terrorismo internazionale. L'accusa è di aver agevolato trasferimenti di denaro da e verso banche di paesi sotto embargo (Iran soprattutto, ma anche Libia e Siria). Altre banche europee coinvolte sono arrivati a costose transazioni. Sulla base dei precedenti, Intesa SanPaolo potrebbe vedersi costretta a pagare una sanzione di qualche centinaio di milioni di dollari per evitare di essere sottoposta a processo e – nel caso peggiore – essere obbligata a chiudere la filiale negli Stati Uniti.

Di questa vicenda hanno già fatto le spese molte imprese italiane che esportano in Iran. Da oltre un anno Intesa ha deciso di tagliare qualsiasi contatto con il paese mediorientale, come hanno fatto moltissime altre banche, Unicredit compresa, ed è diventato impossibile incassare i pagamenti per la vendita delle merci.