Fondi strutturali in “soccorso” del Piano Juncker

In fondi strutturali europei vanno in soccorso del Piano Juncker, soprattutto in quei paesi considerati troppo rischiosi dalla Bei che non vuole compromettere la sua “tripla A” come emittente sui mercati finanziari. In una comunicazione pubblicata lunedì scorso la Commissione europea ha spiegato tutte le possibili “sinergie” e “complementarietà” tra i due strumenti, l’Efsi – Fondo europeo per gli investimenti strategici, il nome tecnico ed ufficiale del Piano Juncker) e i Fondi europei strutturali e d’investimento (Esi). Le varie combinazioni dei due strumenti d’investimento (clicca sull’immagine)dovrebbero dare ulteriore impulso alla crescita dell’economia, con varie opzioni che possono coinvolgere anche i privati. “Anche a costo di ‘piegare’ un po’ le regole dei fondi strutturali” spiega un esperto.

In sostanza, il Piano Juncker “è alla disperata ricerca di meccanismi per “esistere” e funzionare anche e forse soprattutto in paesi considerati troppo rischiosi e in cui la Bei “non può andare” neppure con la garanzia del Piano, se non a rischio di perdere il rating. Si tratta di gran parte dei paesi dell’Est, dell Grecia e di Cipro.

In questi paesi (ma non solo), governi e autorità regionali possono dunque utilizzare i fondi strutturali come tranche junior  nel finanziamento di progetti in cui interviene anche il Piano Juncker, ma per i quali la Bei non riesce ad offrire la propria garanzia. La “magia” è mobilitare altre risorse pubbliche, i fondi strutturali appunto,  che fungono da “cuscinetto” per assorbire le “prime perdite” (first loss) dei progetti, cosa che altrove è affidata all’intervento della Bei. Con la nuova programmazione 2014-2020 era già stata estesa la possibilità di utilizzare i fondi strutturali per ‘confezionare’ strumenti finanziari da utilizzare per attivare l’intervento dei privati. Con questa comunicazione si dà un’ulteriore accelerazione. La “sinergia” è ammessa per tutti gli obiettivi tematici 2014-2020.

“Un’operazione non bellissima, ma politicamente indispensabile per ‘provare’ il successo del Piano Juncker – spiega l’esperto – senza compromettere il rating della Bei per la quale invece sarebbe auspicabile un cambio di mentalità verso una vera banca di sviluppo”.