Che l’operazione di palazzo delle dimissioni di Carlo Zadra dalla squadra di Jean-Claude Juncker sia stata una vera e propria porcheria lo dimostrano i tentativi abbastanza maldestri dei portavoce del presidente della Commissione europea di giustificare con ragioni regolamentari del tutto formali la nomina di un inglese con le stesse deleghe dell’unico italiano che era nello staff della presidenza ma, guarda caso, con qualche grado amministrativo in più. Insomma, si stanno arrampicando sugli specchi per giustificare la nomina di Michael Shotter, sostenendo che non conta la nazionalità ma le competenze. Salvo poi far trapelare che il gabinetto aveva bisogno di rafforzarsi su due fronti molto importanti per l’Unione: la crisi dei migranti e il referendum britannico sulla permanenza del Regno Unito nella Ue. E chi scelgono? Un inglese. Detto questo, le responsabilità non sono tutte a Bruxelles e non è difficile prevedere che per il sottosegretario Sandro Gozi, con delega alle Politiche Ue, sarà complicato uscire dal cul-de-sac in cui – suo malgrado – si ritrova. Fare la voce grossa sui giornali serve a poco, tutt’al più si rimedia la classica “bacchettata” che anche questa volta è arrivata ma solo dal portavoce e non dal presidente o da un commissario. Un altro segnale? Può darsi. Che va letto insieme alla tempistica di quanto è accaduto. Anche perché non sono affatto sfuggite ai commissari le crescenti insofferenze antieuropeiste del governo italiano, anche prima dello scontro verbale Renzi-Merkel del 18 dicembre scorso. Tanto che se ne è parlato diffusamente in una delle periodiche riunioni informali di commissari di area socialista, quella tenuta per commentare il risultato delle elezioni francesi.
Ricordiamo la sequenza dei fatti. Zadra è stato messo in condizione di andarsene subito dopo il consiglio di dicembre in cui il premier Matteo Renzi si era lasciato andare più del solito contro Angela Merkel. Proprio in quei giorni Palazzo Chigi ha divulgato una lettera riservata della Commissione nel tentativo di imputare all’Europa la responsabilità delle perdite subite da chi aveva investito nelle quattro banche salvate. Poi c’è stata la procedura d’infrazione per una quinta banca, la Tercas, adottata il 23 dicembre e trasmessa lo stesso giorno. Per finire, l’indagine per aiuti di Stato all’Ilva. E senza contare i sospetti aiuti di Stato contenuti nella Legge di Stabilità approvata sempre alla vigilia di Natale. Pochi giorni prima, il 17 dicembre, un’indiscrezione giornalistica annunciava che il Governo aveva deciso di trasferire come ambasciatore a Madrid il rappresentante permanente, Stefano Sannino. Indiscrezione sostanzialmente confermata dallo stesso Renzi nella conferenza stampa del vertice Ue che era in corso a Bruxelles. Quel trasferimento non è ancora avvenuto. Sannino, depotenziato, è ancora a Bruxelles e, anzi, c’è chi ha ipotizzato che l’operazione sia stata congelata. Ma fonti di Governo hanno assicurato che la nomina del successore dell’ambasciatore presso la Ue sarà approvata entro fine gennaio. E’ lo stesso termine entro cui Gozi si è impegnato a riavere un italiano nel gabinetto Juncker. Ma con il vuoto di rappresentanza che si è creato sarà un’impresa ancora più ardua del solito. Non riuscire a mantenere l’impegno sarebbe uno smacco pesante che potrebbe provocare anche qualche conseguenza interna.
“Sarà anche una questione di opportunità politica – nota un esperto di lungo corso di vicende comunitarie – ma prima di buttarla in caciara dobbiamo guardare ai fatti: prima di tutto lo studio dei dossier, poi le posizioni assunte come Stato membro sulle questioni concrete e gli atteggiamenti quotidiani in Commissione e in Consiglio. E’ la tecnica della politica. Chi si lamenta adesso, per esempio per le conseguenze del bail-in, è come lo studente che non ha fatto i compiti e dice di aver preso 4 perché la maestra ce l’ha con lui”.