Di difesa comune europea si parla da almeno 65 anni, da quando cioè nel 1950, il primo ministro francese René Pleven propose un piano per un’integrazione di ampio respiro, compresa la costituzione di un Esercito europeo e la nomina di un ministro europeo della Difesa. Dopo due anni di negoziati, i sei componenti della Ceca, la Comunità del carbone e dell’acciaio, firmarono il trattato per costituire la Comunità europea di difesa. Prevedeva un esercito europeo con 40 divisioni di 13mila soldati con la stessa uniforme, un bilancio e istituzioni comuni e commesse militari congiunte. Due anni dopo, nell’agosto del ’54, il progetto però naufragò bocciato dal Parlamento francese, proprio il Paese promotore.
Nei decenni successivi, caratterizzati dalla guerra fredda, l’idea di difesa comune resta in stand-by e le garanzie di sicurezza per i paesi dell’Europa occidentale sono state affidate alla partecipazione alla NATO, anche per chi come Italia e Germania è uscito sconfitto dalla Seconda guerra mondiale. Oggi 22 Stati membri della Ue su 28 fanno parte dell’Alleanza atlantica.
Non succede poco o nulla fino al crollo del muro di Berlino e alla fine della guerra fredda. Nel ’91 con il trattato di Maastricht si decide di dotare l’Europa di una politica estera di sicurezza, primo passo per arrivare, a fine ’99, alla nomina di Javier Solana Alto rappresentante per politica estera e difesa comuni, figura incardinata nella Commissione europea e oggi ricoperta da Federica Mogherini.
In virtù di questo incarico, Mogherini è anche capo dell’Agenzia europea di difesa, organismo intergovernativo creato nel 2004 a cui partecipano tutti i gli Stati membri, eccetto la Danimarca. L’agenzia assiste i governi e il Consiglio europeo in materia di difesa, ma la partecipazione è “à la carte”, nel senso che ciascun Paese decide di volta in volta se partecipare o meno ai diversi progetti.
Dalla scorsa primavera, anche dopo la strage di Charlie Hebdo, si è tornato a parlare di Difesa comune e di Esercito unico europeo. Il think tank della Commissione ha prodotto uno studio che riassume le ragioni per le quali l’esercito europeo oggi è diventato necessario e indica un percorso possibile: l’idea è di ripartire dalla Pesco, Permanent Structured Cooperation, prevista dal Trattato di Lisbona (art. 42.6) e mai decollata. Ecco il testo integrale dell’articolo 42, compreso il comma successivo (42.7) sulla mutua assistenza tra gli Stati membri nel caso in cui uno di essi subisca un’aggressione armata, comma invocato dal presidente francese François Hollande nel discorso al Parlamento dopo gli attacchi di venerdì 13 novembre. Come è già accaduto altre volte, sotto la pressione delle aggressioni terroristiche nel cuore delle sue capitali, l’Europa forse potrebbe compiere uno altro passo verso l’integrazione.
Articolo 42 (ex articolo 17 del TUE)
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6. Gli Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative instaurano una cooperazione strutturata permanente nell’ambito dell’Unione. Detta cooperazione è disciplinata dall’articolo 46. Essa lascia impregiudicato l’articolo 43.
7. Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa.