"Considerato il miliardo e 400 milioni di liquidità, Lactalis pagherà Parmalat nove volte l'ebitda. Mi sembra un signor pagamento". Alessandro Profumo si concede, fuori progamma, al festival dell'economia di Trento per parlare di Parmalat in un dibattito pubblico al quale avrebbe dovuto partecipare Enrico Bondi, l'amministratore delegato uscente del gruppo e che invece ha dato forfait per evitare di esporsi – lui, sempre blindatissimo – proprio mentre è in corso l'opa dei francesi.
Ecco il conto che Profumo ha fatto giovedì sera, dandone un giudizio di sostanziale congruità: al prezzo di 2,6 euro per azione Parmalat "costa" ai francesi 4,5 miliardi di euro. Tolti 1,4 miliardi di liquidità che l'azienda ha in cassa, e considerato il margine operativo 2010 pari a circa 380 milioni, si ottiene un multiplo anche superiore a 9.
All'incontro (a cui è seguita la proiezione del film "Il gioiellino" ispirato proprio al crack della Parmalat di Calisto Tanzi e e Fausto Tonna) Tito Boeri ha invitato Profumo il quale ha difeso le banche per i comportamenti tenuti prima del crollo della società, sostenendo che "con gli strumenti a disposizione non era possibile vedere dall'esterno la reale situazione finanziaria di Parmalat". Il riferimento era all'intreccio di prestiti italiani ed esteri, compresi veicoli finanziari non consolidati in bilancio come il famoso Black hole, invisibili anche alla Centrale rischi.
Quanto alla Parmalat di oggi che sta per passare sotto il controllo della famiglia Besnier, "acquisizioni erano possibili" prima della scalata francese, ma Profumo non si scandalizza: "Faccio fatica a ragionare in termini di nazionalità dell'impresa". Se avesse ragionato così e soprattutto se i suoi interlocutori, difficilmente Unicredit sarebbe una banca presente in più di 20 paesi come è oggi.
La prova che non c'è scandalo? "I sindacati di Parmalat non sono affatto ostili all'arrivo di Lactalis. Il problema piuttosto è come mettere le aziende italiane in condizione di crescere abbastanza per riuscire a fare acquisizioni all'estero piuttosto che farsi acquisire, ma anche come diventare attrattivi per gli investitiori esteri, con certezza delle regole e del diritto e tempi ragionevoli della giustizia". Inoltre "bisogna chiedersi come fare per creare le condizioni perché le funzioni di vertice di un grande gruppo rimangano in Italia" anche se la proprietà va all'estero.
Insomma, meglio i francesi che una soluzione rabberciata con una cordata italiana senza un socio industriale vero e in grado di farsi carico della gestione e dello sviluppo dell'azienda salvata da Bondi ma che - parole di Profumo – con quella liquidità e con l'assetto di public company era una preda perfetta.
Bentornato, Profumo.