Il taglio del costo del denaro nella zona euro deciso, per la verità un po’ a sorpresa, darà senz’altro una mano e servirà già da oggi ad allentare la tensione sul credito in Eurolandia. Ma il problema per le aziende e per le famiglie italiane non è il costo base dei prestiti, ma quel sovrapprezzo di sfiducia che la crisi del debito costringe a pagare. Quello spread dal suono ormai così familiare quanto sinistro che è diventato uno dei freni principali alla crescita del sistema Paese su cui, inesorabile, si trasferisce prima con l’aumento del costo della raccolta per le banche e poi sugli impieghi. Non è un caso che, forse per la prima volta, due mondi tradizionalmente contrapposti – banche da una parte e imprese dall’altra – si siano ritrovati alleati per chiedere al Palazzo interventi immediati sul macigno del debito, con quelle riforme troppo a lungo evocate e sempre rinviate, depotenziate o, peggio, dimenticate. Mentre ancora si discute di cosa fare, di come farlo e di chi deve farlo, è arrivato il conto, salato, dell’incapacità della politica di decidere. Il tempo è scaduto e affidarsi ai supplementari rischia solo di gonfiare il prezzo. L’arrivo di Mario Draghi alla Bce coincide con l’allentamento delle condizioni monetarie, ma non è stato un regalo all’Italia. Lo abbiamo già detto: l’uscita dal tunnel dipende solo da noi.
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