Tutto cominciò con i "capitani coraggiosi" guidati da Roberto Colaninno, che nella primavera del 1999 riuscirono nella "madre di tutte le scalate" conquistando Telecom Italia privatizzata un paio d'anni prima. Il "nocciolino duro", composto dall'Ifil degli Agnelli e dalle principali banche italiane, si rivelò fragilissimo e anche gli investitori istituzionali preferirono l'offerta cash (tutta a debito) della cordata di Colaninno, Gnutti e degli altri bresciani. Pochissimi ricordano che proprio in quei giorni si faceva un gran parlare di un matrimonio tra la stessa Telecom e la spagnola Telefonica. La proposta era giunta sulla scrivania di Franco Bernabé, ad di Telecom, che - allora come oggi – era in trincea e cercava soluzioni per evitare che l'azienda cambiasse padrone.
La "fusione tra pari" (in cui Telecom però avrebbe avuto un peso azionario maggiore perché in quell'epoca i numeri erano a vantaggio dell'operatore italiano) era stata proposta da CSFB, la banca d'affari che lo stesso Bernabè aveva scelto come advisor. L'allora a.d. di Telecom, però, nato a Vipiteno, sentiva gli spagnoli culturalmente molto distanti e non si fidava dei vertici di Telefonica, come racconta uno dei protagonisti di quella stagione. Preferì quindi tentare la strada tedesca, proposta da Goldman Sachs (che non era advisor di Telecom) e cioè di una fusione con Deutsche Telekom. L'operazione, presentata con grosso evento mediatico a Londra dopo una serie di rinvii, fu bocciata però dall'assemblea di Telecom: gli investitori istituzionali che avevano preso le azioni nella privatizzazione un paio di anni prima, preferirono aderire all'Opa dei "capitani coraggiosi" sostenuti dal governo dell'epoca (guidato da Massimo D'Alema) che – fatto non secondario – assicurava loro una ricca plusvalenza cash, grazie alla liquidità fornita a Colaninno da Chase Manahttan e Lehman Brothers). Di Dt e Telefonica non si parlò più, fino alla nascita di Telco. Non è detto che l'assemblea Telecom del '99 avrebbe approvato l'alleanza con gli spagnoli, ma quello che sta avvenendo oggi deve avere un retrogusto amaro per Franco Bernabè.
Ma questo è il meno. E' quanto è accaduto dopo la scalata "a leva" condotta da Colaninnno con i "bresciani" (usare gli utili di Telecom per ripagare i debiti contratti per scalarla) che ha azzoppato Telecom, in quel momento una delle migliori realtà delle tlc a livello mondiale e forse la più avanzata nella telefonia mobile. Le telecomunicazioni non consentivano, già allora, distrazioni o pause di riflessione: non si poteva stare fermi, erano (e sono) necessari investimenti continui in tecnologia e infrastrutture (come ai giorni nostri la banda larga). Ma se gli utili devono servire per pagare i debiti contratti a monte della catena di controllo per effettuare la scalata, addio investimenti e innovazione. Così siamo arrivati ad oggi, con Telefonica che produce utili, ha un fatturato più che doppio rispetto a Telecom che ha bilanci in perdita e quasi 29 miliardi di euro di debiti, più o meno quanto è costata l'Opa di Colaninno quattordici anni prima. OggiTelefonica potrebbe avere il controllo dell'azienda italiana con 860 milioni di euro.
"Il primo responsabile di tutto ciò – sostiene un banchiere d'affari che conosce le traversie della telefonia europea degli ultimi vent'anni – è l'allora presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, che appoggiò quelli che definì 'capitani coraggiosi', senza sapere bene chi fossero e cosa avessero in mente. Tutto – sostiene il banchiere – per estromettere la Ifil degli Agnelli da Telecom. A parziale scusante di D'Alema c'è il fatto che non si era reso conto di cosa stesse facendo". Insomma, una scalata "all'insaputa", si potrebbe dire.
Solo due anni dopo, infatti, nel 2001, i capitani avevano già perso il coraggio e forse anche le stellette. Perciò accettarono l'offerta di Tronchetti Provera, il quale però "strapagò un'azienda già spompata e fortemente indebitata, correndo il rischio di trascinare nel vortice anche la Pirelli".
E' curioso ma non deve sorprendere più di tanto, quindi, che il nostro banchiere d'affari nel guardare oggi alla parabola di Telecom sia d'accordo con Beppe Grillo che ieri ha definito Massimo D'Alema "il primo responsabile della catastrofe".
Un effetto collaterale della scalata a Telecom fu la cessione del controllo dell'altra azienda italiana di telefonia mobile, Omnitel, alla tedesca Mannesman che nel 2000 fu oggetto di un take-over ostile da parte di Vodafone. Da anni, ormai, la vecchia Omnitel si chiama Vodafone Italia, fa parte di un gruppo molto più grande che al vertice ha due italiani ma è controllata da capitali stranieri. Ora si chiude il percorso anche per Telecom che passa sotto il controllo degli spagnoli. Al di là delle sterili difese dell'italianità (l'esprienza di Vodafone Italia insegna, ma anche quella di Alitalia) resta il fatto che le due principali realtà industriali di un settore in cui l'Italia a cavallo del 2000 era all'avanguardia sono ormai in mani straniere.