L’Italia rischia di pagare il prezzo più alto di quanto sta accadendo tra Bruxelles, Londra e Berlino dopo la vittoria di Brexit il 23 giugno scorso. Dopo il referendum inglese l’Europa non potrà più essere quella di prima: o andrà rapidamente verso una maggiore integrazione, magari dividendosi in due gruppi di cui uno più veloce e l’altro più lento, o ancora più rapidamente imploderà su se stessa. Sono, queste, settimane di grandi manovre non tanto a Bruxelles quanto a Berlino. Un segnale netto è arrivato con l’intervista di domenica 3 luglio del ministro Wolfgang Schauble che ha cercato di liquidare la Commissione Ue e il suo presidente Jean-Claude Juncker, con una visione davvero minimalista del futuro dell’Unione, con la scusa del “pragmatismo” e della “soluzione concreta dei problemi” perché è quello che interessa “alla gggente”. Soluzioni che se non arriveranno da Bruxelles perché Bruxelles non riesce a decidere, “troveremo noi, tra governi, al di fuori delle istituzioni”. Ciò che Schauble non dice è che se Bruxelles da tempo non riesce a decidere è perché ad impedirglielo sono proprio i governi nazionali, compreso quello tedesco.
Ma l’intervista di Schauble non è l’unico segnale. C’è anche l’attacco a Juncker, sui giornali inglesi e tedeschi, considerato non all’altezza (anche per ragioni di salute legate ai suoi eccessi con l’alcool) per gestire un passaggio così difficile nella storia della Ue. E c’è poi la pressione sull’Italia e in particolare sulle banche, considerate il suo punto debole, insieme al debito pubblico, per via della montagna di sofferenze accumulate dall’inizio della crisi. La prima pagina del Financial Times di oggi non lascia dubbi.
Il disegno dei conservatori tedeschi, cui fanno da sponda quelli britannici – spiegano fonti ben introdotte nelle vicende comunitarie – è di andare verso l’Europa a due velocità. Lo avevano immaginato già prima del referendum, prevedendo la vittoria di “Remain”. Poi il risultato del 23 giugno ha sparigliato le carte ma ora il puzzle si sta ricomponendo e l’uscita della Gran Bretagna non è affatto sicura. L’obiettivo, come ha detto esplicitamente Schauble anche nell’intervista pubblicata nel fine settimana, è “lasciar fare ai governi”. Si, ma quali? “Se non tutti i 27 vogliono collaborare più strettamente, allora inizieremo con un gruppo più piccolo. Se la Commissione non ci segue, allora ci occuperemo della situazione e risolveremo i problemi tra i governi”. E “non è sicuramente il momento giusto di lavorare ad una maggiore integrazione dell’Eurozona”. Insomma, uno scenario delle ambizioni europeiste decisamente al ribasso.
In questo contesto gli attacchi (strumentali anche se non ingiustificati) alle banche italiane si legano con le conseguenze di Brexit. Se dopo il 23 giugno l’Unione europea non può più restare ferma, bisognerà fare una selezione di chi potrà salire sulla barca di coloro che possono andare avanti. Nel frattempo si tiene in vita un simulacro dell’Unione, utile ad imporre ancora qualche regola anche a chi non è d’accordo. Quando questo non sarà più possibile, ci sarà lo scisma. Sollevare oggi il polverone sulle sofferenze delle banche italiane tornerà utile per chiudere le porte del club ristretto dei “nordici” e tenere l’Italia nel gruppo di coda della nuova unione in cui si troverà per forza di cose anche la Gran Bretagna se, come sembra sempre più probabile, l’uscita dalla Ue sarà evitata.
Insomma, sulla questione bancaria, per l’Italia, si sta giocando una partita molto molto più importante.