Nel dibattito su bufale, balle e post-verità innescato dalle parole del presidente Mattarella nel messaggio di fine anno e dalla proposta del presidente dell’Antitrust, Pitruzzella, penso che occorra chiarire un punto.
L’errore imperdonabile che hanno fatto gli editori dopo l’arrivo di Internet è stato considerare la rete solo come una fonte aggiuntiva di ricavi pubblicitari, svilendo il loro prodotto che è l’informazione di qualità, frutto del lavoro giornalistico. Il risultato è che ora tutto è sullo stesso piano, le scie chimiche e le notizie vere e soprattutto verificate, le farneticazioni di mitomani incompetenti e le analisi di esperti riconosciuti. Tutto gratis, tutto con la stessa dignità perché “l’ho letto su Facebook”.
Invece no. L’informazione di qualità, quella vera, c’è. Costa fatica, tanto lavoro e anche tanti soldi. Perciò ha un valore, anche economico che non è dato dai click. Si è mai visto qualcuno regalare per strada o in negozio un prodotto di qualità per 15 anni di seguito? Per di più nello stesso scaffale in cui sono esposti prodotti contraffatti, apparentemente simili ma del tutto diversi nella sostanza? Non è sostenibile.
I click lasciamoli alle scie chimiche e a chi vuole far soldi inondando la blogosfera di balle per creduloni e sfaccendati. L’informazione, quella utile, facciamola pagare, anche su Internet. Ai social, se vogliono, lasciamo la spazzatura. Di questo passo finiranno per restarne soffocati. A patto però che i media “tradizionali” e i giornalisti siano davvero rigorosi e al servizio dei lettori. Perché – fa male riconoscerlo – non sempre è così.