La doppia candidatura per la presidenza dell’Europarlamento con Antonio Tajani per il Ppe e Gianni Pittella per i Socialisti non dà affatto la garanzia che un italiano torni, dopo moltissimi anni, a guidare il Parlamento europeo. Nessuno dei due partiti, infatti, è in grado di assicurare l’elezione del prossimo presidente che resterà in carica fino al rinnovo di tutti i parlamentari nel 2019. Con 226 deputati i Popolari sono i più numerosi e pesano sull’emiciclo per il 28,8%. I socialisti hanno 189 parlamentari (25,2%). Per eleggere il presidente è necessaria la maggioranza assoluta. Se non viene raggiunta dopo tre votazioni, dalla quarta si va al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti nel terzo scrutinio.
Se Tajani e Pittella non troveranno il modo di mettersi d’accordo, rischiano di farsi fuori a vicenda, aprendo la strada ad una soluzione alternativa che, forse, chi ha mosso i fili dietro le quinte ha già pronta e – come è stato già detto – potrebbe essere il leader dei liberali Guy Verhofstadt, dal ’99 al 2009 primo ministro del suo Paese, il Belgio, con tre governi diversi. Anche perché oltre all’appartenenza alla famiglia politica a Strasburgo e Bruxelles contano anche altre logiche. Ma il suo gruppo, Alde, esprime solo 68 parlamentari, pai al 9%. Non potrebbe fare a meno dei voti di almeno uno dei due partiti principali.
Se chi ha lasciato andare avanti Tajani e Pittella ha pensato di tendere un trappolone, c’è da augurarsi che i due parlamentari italiani non ci caschino. Chissà quando si ripresenterà per l’Italia un’occasione come questa.