C’è, nei rapporti tra questa Commissione europea e i paesi membri, un vizio di fondo. E’ quello di aver accreditato sin dall’inizio del mandato a Jean-Claude Juncker l’esecutivo europeo come un esecutivo “politico”. Il nodo è che questo presunto mandato sta travalicando il ruolo di guardiano e garante del sistema comunitario previsto dai trattati per la Commissione. Su questo scenario si stanno giocando gli equilibri tra Bruxelles e le capitali nazionali.
Lo scontro in atto ormai da alcune settimane tra il presidente del Consiglio italiano, Renzi, e il presidente Juncker è solo uno degli effetti. E’ contro questa deriva che – sia pure scompostamente – Renzi si sta opponendo. E non a torto, anche se forse modalità ed espressioni meno aggressive sarebbero più efficaci.
Complici le incerte condizioni di salute di Juncker (nonostante le smentite secche dei portavoce, a Bruxelles è sulla bocca di tutti il fatto che il presidente stia nella capitale belga sempre di meno, al massimo dal lunedì al mercoledì per poi rientrare in Lussemburgo dopo la riunione del collegio, tanto che si vocifera che per il 2016 lo stesso Juncker abbia chiesto ai vicepresidenti Timmermans e Georgieva di preparasi a sostituirlo spesso) il presunto o preteso ruolo “politico” della Commissione rischia di essere affidato nella sostanza a pochi funzionari, cui fa difetto proprio il mandato politico. Primo fra tutti è il capo di gabinetto di Juncker, il tedesco Martin Selmayr, che sempre di più si trova a “governare” la Commissione senza il necessario controllo “politico”. O perlomeno senza la necessaria chiarezza su chi lo eserciti. E’ successo, per esempio, quando già all’apice delle tensioni con Roma e con sgarbo diplomatico istituzionale ai limiti dell’arroganza, proprio Selmayr ha proposto al rappresentante permanente italiano, Stefano Sannino, in procinto di essere trasferito come ambasciatore a Madrid, di tornare a lavorare in Commissione per occuparsi di migranti, la stessa materia che nel frattempo aveva sfilato all’unico italiano membro del gabinetto Juncker, Carlo Zadra. Oppure quando, una volta che le due vicende sono state raccontate dalla stampa, ha convocato alcuni giornalisti italiani – senza esporsi con nome e cognome ma con la foglia di fico dell’off-the-record – per accusare il governo italiano di non avere un interlocutore che dialogasse direttamente con Bruxelles. Non si era mai visto qualcosa del genere nei rapporti tra Commissione e uno Stato membro.
Il cambio per certi versi traumatico tra Sannino e Carlo Calenda alla guida della rappresentanza diplomatica italiana a Bruxelles non sarà da solo risolutivo dei problemi di relazione che l’Italia deve affrontare con le istituzioni e con i partner europei. Ciò che serve è un cambio di atteggiamento generale che porti a coltivare prima di tutto le rapporti – informali prima che formali – con gli interlocutori privilegiati all’interno dei palazzi della Commissione. E questi sono innanzitutto le centinaia di funzionari italiani che occupano posizioni più o meno importanti nella scala gerarchica dell’esecutivo europeo. Coltivare queste relazioni – come fanno altri stati membri – è fondamentale per muoversi più agevolmente nei labirinti di regolamenti, linee guida e direttive e riuscire a metter un argine a personaggi come Selmayr, contribuendo, magari, a indirizzare da una parte piuttosto che dall’altra le decisioni e le normative.