La decisione era stata presa nel 2012, da attuare – si disse – con decretazione d’urgenza, dall’allora ministro per la Coesione, Fabrizio Barca. L’obiettivo era dotare l’amministrazione pubblica di un “organo d’indirizzo e di presidio dell’attuazione della programmazione dei fondi strutturali… per non scoprire troppo tardi che le cose non vanno per il verso giusto”. Insomma, si voleva evitare il rischio di perdere ogni anno qualche miliardo di risorse europee. Dopo tre anni, una legge nel 2013 e cinque-sei Dpcm nel 2014 per lo statuto e per la nomina del direttore generale, l’Agenzia per la Coesione territoriale non è ancora nel pieno delle sue funzioni e deve ancora “preoccuparsi della propria esistenza in vita”. Devono ancora insediarsi il Comitato direttivo (i cui rappresentanti sono stati nominati dalle regioni a fine marzo 2015) e il collegio dei revisori, i cui atti costitutivi sono alla registrazione della Corte dei conti. Solo quando questi ultimi passaggi saranno compiuti, il direttore generale, Maria Ludovica Agrò (che, nominata a luglio dello scorso anno, ha potuto lavorare sinora solo dietro le quinte) “a norma di statuto” potrà adottare anche il regolamento organizzativo che darà all’Agenzia il via libero definitivo per essere finalmente operativa. Alla fine saranno stati necessari ben 13 (tredici!) Dpcm. Nel frattempo sono cambiati ben quattro responsabili di governo per i fondi europei (due ministri e due sottosegretari alla presidenza del Consiglio).
Non stiamo parlando dell’ennesimo carrozzone pubblico o di un dettaglio secondario: l’Agenzia dovrebbe rendere più efficiente l’uso di più di 40 miliardi di euro di risorse europee entro il 202o, a cui se ne accompagnano almeno altri 20-25 di cofinanziamento nazionale. Il cattivo utilizzo dei fondi europei da parte delle regioni e dei ministeri, per ammissione di tutti, dai presidenti della Repubblica ai governatori delle Regioni, è un’emergenza del Paese, di cui più volte ci siamo occupati sul Sole 24 ore e su questo blog. I tre anni persi in passaggi burocratico-amministrativi nei meandri di svariati palazzi dell’apparato pubblico, dove chi vuole trova il modo di intralciare a suo piacimento qualsiasi passaggio, sono la prova di quanto sia inefficiente questo apparato, a cominciare dal modo in cui scrive le leggi. La colpa dei politici, molto spesso è “solo” quella di non essere per nulla in grado di neutralizzarlo e, dove è necessario, azzerarlo.
Può avere un futuro un Paese che per dare vita ad uno strumento tecnico considerato “strategico” ha bisogno di emanare ben 13 decreti?