L’esito del mini-vertice sulla Grecia nella notte tra giovedì e venerdì a Bruxelles è davvero minuscolo: rispetto all’accordo del 20 febbraio non è cambiato assolutamente nulla. Ci sono solo 4 settimane in meno per il governo greco e per le “3i”, le istituzioni (ex Troika) per mettere finalmente a punto la lista delle (nuove) riforme che dovrebbero compiere il miracolo di combinare il risanamento dei conti pubblici (e il rimborso del debito-monstre) con la crescita dell’economia. Scongiurare contemporaneamente il default e la crisi umanitaria. Il vertice è servito solo a confezionare i messaggi di cui i leader avevano bisogno per darli in pasto alle proprie opinioni pubbliche. Alex Tsipras, oltre a ripetere che la troika ha cessato di esistere, ha ottenuto “lo sblocco” di 2 miliardi di euro che in realtà sono fondi strutturali della vecchia programmazione 2007-2013 che Atene non ha ancora certificato a Bruxelles. La Commissione si è impegnata ad aiutare il paese a “spenderli in fretta e bene”. Che non vuol dire nulla. “Molto effetto annuncio e poca sostanza” ha spiegato un alto funzionario della Commissione. Ma non ditelo ai greci.
Angela Merkel (e i leader degli altri paesi che da Atene vogliono il rispetto dei patti) ha ottenuto la conferma dell’accordo del 20 febbraio che prevede una lista di riforme condivise entro fine aprile per poi cominciare a realizzarle. Questa era e rimane la condizione perché la ex troika sblocchi i 7,2 miliardi di aiuti già previsti dagli accordi dello scorso anno.
La cosa più rilevante – ma non è una novità – è che il mini-vertice ha inflitto l’ennesima bastonata al metodo comunitario e alle speranze federaliste, confermando che l’Europa riesce a procedere solo per intese (mini) tra i governi.
Arrivederci al prossimo mini-vertice