Jean-Claude Juncker non sarà mandato a casa dal Parlamento europeo dopo lo scandalo Lux-leaks nato dall’inchiesta giornalistica sugli sconti fiscali concessi dal Lussemburgo negli anni in cui lo stesso Juncker era capo del governo. Come era prevedibile, i due grandi partiti PPE e PSE che lo hanno portato alla guida della Commissione Ue hanno preso le sue difese nel dibattito seguito alla mozione di sfiducia presentata dal M5S.
Ora occorrerà capire se il suo impegno a combattere elusione ed evasione fiscali si tradurrà in atti concreti. Per ora c’è solo il mandato – conferito nella riunione del 12 novembre subito dopo lo “scandalo” – al commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, di riscrivere “prima possibile” una bozza di direttiva per “spingere l’armonizzazione fiscale, per esempio dando un nuovo impulso alla tassazione delle transazioni finanziarie e alla base imponibile consolidata comune per le società, sulla base delle priorità indicate dal G20 sulla lotta all’evasione e all’elusione e sullo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali”. Si riprende il cammino avviato nel 2011 e poi arenatosi.
As soon as possible, è il timing indicato da Juncker: entro Natale o giù di lì, dicono a palazzo Berlaymont.
Su questo impegno gli europarlamentari, grillini e non, potranno incalzare Juncker e metterlo alle strette con il resto dell’esecutivo, smascherando gli stati membri che sono contrari ma non lo dicono.
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