Il Governo ha fatto un gran parlare di fondi strutturali europei, con cifre talvolta in libertà che hanno gonfiato a dismisura la consistenza delle risorse destinate alle regioni italiane da qui al 2020. La questione, si sa, non è quanti soldi arrivano ma quanti si riesce a spenderne in tempo, prima che scatti la tagliola del disimpegno automatico (quest’anno sono a rischio 5-7 miliardi). Per il periodo 2007-2013 l’Italia è il secondo paese beneficiario ma ha la peggiore performance di spesa dopo la Romania. Gli uffici della Commissione Ue hanno studiato questa «difficoltà strutturale». La diagnosi è stata impietosa: inadeguatezza a realizzare politiche pubbliche per incapacità amministrativa. Agli enti che gestiscono fondi Ue è stato dunque imposto uno strumento, il piano di rafforzamento amministrativo, che potrebbe creare l’indispensabile discontinuità. Ma nel disinteresse del governo e più in generale della politica tutto rischia di impantanarsi nella palude della nostra burocrazia. Se il premier crede davvero nell’importanza dei fondi europei per alimentare la ripresa, questo è il momento di battere un colpo.
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