Domani, martedì, la riforma elettorale Italicum torna in discussione in aula alla Camera. C'è un aspetto che la riforma non affronta, anche perché è regolato da una legge diversa da quella elettorale: il voto degli italiani all'estero. Gino Chiellino è un intellettuale italiano che vive e lavora in Germania da 45 anni. Con lui condivido il cognome e le origini geografiche. E forse molte idee. Nei giorni scorsi mi ha inviato una sua breve riflessione molto critica sul voto degli italiani all'estero. Pensavo che fosse fuori dal coro e invece, confrontandomi con altri amici che vivono fuori dall'Italia, ho scoperto che le motivazioni di Gino Chiellino sono ampiamente condivise.
In tempi di spending review, la riforma elettorale forse potrebbe essere una buona occasione per rivedere questo "buco nero nero che viola il principio stesso della rappresentanza egualitaria" (cito un funzionario di alto livello della Ue) e ragionare con equilibrio sullo ius soli, secondo il principio "voto nel paese in cui pago le tasse". Anche perché se il risultato del voto degli italiani all'estero è Antonio Razzi (degli altri nessuno ricorda il nome) penso che se ne possa fare a meno.
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Ecco le riflessioni di Gino Chiellino.
L’inutilità del voto degli italiani all’estero.
Di motivi per abolire il voto degli italiani all’estero ce ne sono proprio tanti.
Secondo me i seguenti sono più che sufficienti.
– Dall’iter parlamentare, che ha portato alla concessione del voto agli italiani all’estero, si ricava la spiacevole sensazione che esso sia stato concepito come gesto caritatevole per chi vive amaramente lontano dalla patria e ovviamente a spese di chi paga le tasse in Italia. In realtà spesso si fa la carità per evitare di occuparsi dell’altro. Facciamoli votare e così se la sbrigano loro! Si saranno detti alla fine.
– Il voto degli italiani all’estero è un qualcosa che cade in un gran vuoto perché non esiste la minima possibilità di contatto tra chi vota e chi va a rappresentarlo. Basti pensare all’impossibilità territoriale, a cui si trovano esposti deputati e senatori eletti anche in Germania, che dovrebbero entrare in contatto non solo con gli Italiani in Germania, ma con quelli di mezza Europa. Nel migliore dei casi entrano in contatto con patronati o associazioni, che a loro volta non rappresentano che se stessi e qualche simpatizzante di passaggio, come testimonia il basso tasso di partecipazione alle ultime elezioni del 2013.
– Il voto degli italiani all’estero è un inutile dispendio di fondi: basta confrontare i dati di partecipazione a fronte dei costi in generale e del lavoro svolto dai consolati italiani in tutto il mondo.
– Il voto degli italiani all’estero è giustamente inviso agli italiani metropolitani che non ne capiscono l’utilità, per altro inesistente, e che lo devono finanziare per amor di patria.
Se poi bisogna rispettare il diritto-dovere di voto di ogni cittadino italiano, basta farlo votare per posta sulla base della sua iscrizione all’AIRE (anagrafe degli Italiani residenti all’estero), gestita dai comuni di origine, e fargli votare i candidati del posto, che magari incontrerà durante le ferie al paesello, mentre quegli altri non li incontrerà mai.
Alle ultime votazioni mi sono ritrovato la cassetta delle lettere intasata da tanti santini, illustri sconosciuti che promettevano interventi salvifici a favore degli italiani all’estero. Ma si trattava d’interventi che da sempre sono di competenza del ministero degli esteri. Possibile che non si rendano conto che così facendo essi stessi dichiarano la loro inutilità.
Dopo i santini mi sono giunte 5 buste, di cui tre per figlie e figlio che vivono altrove e che hanno deciso di non comunicare il cambio di indirizzo né al consolato di competenza né all’AIRE del mio paese di nascita. E perché mai dovrebbero votare dei membri del parlamento italiano, si dicono, se intendono seguire i loro impegni e interessi lì, dove si svolge la loro quotidianità?
All’inutilità del voto si aggiunge un ingiustificabile spreco di risorse che potrebbero essere utilizzate diversamente e specialmente in tempi di crisi.
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