CATANZARO – L’ultima commessa è solo di 200mila euro ma viene da un cliente di prestigio, uno dei due principali costruttori aeronautici mondiali che impone anche una clausola di riservatezza. Ma è solo l’ultimo dei clienti della Sir Meccanica, azienda che da 20 anni produce macchine utensili «portatili multifunzione», a Catanzaro, dove avere la banda larga nella zona industriale è quasi un privilegio <<riservato a pochi intimi…>>, ma non per aziende hi-tech. Dove le interruzioni di elettricità sono consuetudine e per spedire la merce in Canada, in Russia, in Australia o in Giappone (Sir Meccanica esporta il 95% della produzione) bisogna prima percorrere 600 chilometri di strada, Salerno-Reggio compresa, prima di raggiungere l’aeroporto di Fiumicino perché da Lamezia Terme è possibile spedire solo nei pochi paesi raggiunti dai cargo dell’Alitalia. Eppure, Rinaldo Siracusa, piacentino arrivato in Calabria negli anni ’60 «da cottimista del movimento terra», si innamora – non solo del clima – e resta qui. A fare l’imprenditore. Prima nel suo settore, poi fonda Italtractor per la manutenzione e la vendita di camion e ruspe usate. Capisce che una delle difficoltà principali nel riparare macchine spesso enormi è doverle trasportare in officina. Comincia a pensare a strumenti portatili, come un trolley, solo più pesanti.
Nasce così Sir Meccanica, come migliaia di altre piccole imprese italiane, dall’intuizione e dalla passione di un uomo. «Grazie alle nostre alesatrici portatili multifunzione – spiega Siracusa appena rientrato dall’India con i suoi collaboratori – si possono fare riparazioni in cantiere, con tempi di lavorazione e costi inferiori dell’85% e per macchine di qualsiasi tipo». L’azienda, fornitrice ufficiale della Nato e in trattative con la Marina russa, oggi ha sedi e filiali – oltre che in Calabria dove è concentrata la produzione – in Russia, negli Usa e in Australia. Con i dealer, uffici e assistenza raggiunge 19 paesi. Non è un caso che il fatturato, nel 2011 vicino a 12 milioni di euro, sia «in costante crescita, tra il 10 e il 20% negli ultimi anni» assicura il managing director Luigi Pucci. «Con i concorrenti non ci misuriamo sui prezzi ma su qualità, affidabilità e innovazione» afferma Siracusa, le cui macchine sono utilizzate nei settori più svariati, compresa la manutenzione degli impianti nucleari.
Il prodotto di punta del 2012 è uno strumento di diagnostica in tempo reale per lo stato di salute delle macchine. «È in sperimentazione da un cliente a Johannesburg». «Il nostro mercato domestico è l’Europa – spiega Pucci – e l’Italia è forse il paese in cui incontriamo più difficoltà. Qualche ordine si è bloccato un secondo prima della firma perché il cliente ha fatto marcia indietro quando ha visto che la nostra sede è in Calabria». Un handicap che si aggiunge agli altri, come quello delle risorse umane. «Abbiamo 60 dipendenti, di cui una ventina stranieri. Ma abbiamo bisogno di assumere almeno 20 persone, tra tecnici e commerciali» spiega il fondatore. Per i tecnici Siracusa sta studiando una convenzione con l’Università della Magna Grecia, mentre i commerciali servono soprattutto per le sedi estere: «A New York non riusciamo ad avere il personale adatto per Sim Mec Usa. In Russia siamo già a Mosca ma entro l’anno vogliamo aprire a S. Pietroburgo».
Siracusa ha letto questo articolo proprio dalla Russia, dove si trova in questi giorni. Si muove da solo, senza associazioni, supporto di banche o altro. E' sempre stato abituato a fare così e i risultati non gli danno torto. Manifesta un senso di scetticismo neanche tanto latente in ciò che è istituzionale, in qualche modo organizzato. <<L'unica istitutuzione che ci ha supportato è stata l'Ice, ma dagli uffici di Roma o di Milano. Nella sede di Reggio Calabria probabilmente non sanno nulla di noi>>. Lo stesso vale per le reti d'impresa, il Fondo Italiano d'Investimento e tutte le altre – poche – opportunità che le piccole e medie imprese italiane hanno per cercare di crescere diventare più competitive sul mercato globale. Le ragioni di questa sfiducia sono tante e alcune anche condivisibili. Anche con le banche c'è qualche difficoltà non tanto per il credito – di cui Siracusa dice di non aver bisogno perché conta sull'autofinanziamento – quanto per il sostegno all'export: <<Ci è capitato – racconta Pucci – di avere difficoltà a lavorare con le lettere di credito perché l'interlocutore non sapeva di cosa si stava parlando…>>. Un contesto – quello in cui si muove Siracusa – che sembra perlomeno indifferente, quando non ostile, all'impresa all'imprenditore.
Cosa riuscirebbe a fare – mi chiedo – un'azienda così se fosse inserita in un contesto culturale - prima ancora che economico - diverso? Il primo passo, però, forse tocca proprio all'impresa: rompere l'individualismo che spesso rischia di diventare isolamento.