«C’è una ragione storico-politica che ha portato all’esplosione dei mutui sub-prime negli Stati Uniti negli anni che hanno preceduto la crisi del 2007-2008. E’ stata la scelta delle amministrazioni Clinton e Bush jr. di integrare più rapidamente possibile gli immigrati messicani di cui l’economia americana aveva estremamente bisogno. L’acquisto della casa è la via maestra per l’integrazione degli immigrati e così le banche sono state sollecitate dal Governo a favorire l’acquisto della casa anche da parte di persone che non potevano permetterselo, con contratti di mutuo che per i primi due anni non prevedevano alcun pagamento, né di capitale né di interessi. C’era un “non detto” del Governo: “date i mutui facili, se va male ci pensa lo Stato”. Un vero e proprio trasferimento di ricchezza dai ricchi azionisti delle banche americane ai poveri immigrati ispanici che, una volta superata indenni la frontiera, in otto anni riuscivano a comprarsi la casa. Qualcosa però non ha funzionato perché non si è diversificato abbastanza e si è fatta troppa leva finanziaria. Nel giro di pochi anni l’insolvenza sui mutui negli Usa è passata dal 2% al 24-25%. La diversificazione fatta con i derivati (considerati diavoli ma secondo me sono falsi diavoli) ha consentito alle banche di diversificare il rischio e di concedere più prestiti. E ha dato ad un numero maggiore di immigrati messicani la possibilità di vivere per due anni un una casa al di sopra delle loro possibilità. Poi sono dovuti tornare nei container, ma intanto per due anni si erano goduti quella casa».
Fin qui il pensiero di Francesco Giavazzi, economista della Bocconi, che l’ha illustrato sabato 21 gennaio in un incontro con quasi duecento insegnanti delle scuole superiori organizzato dall’Osservatorio giovani-editori e da Intesa SanPaolo. Confesso: in quattro anni questa è la spiegazione della crisi dei subprime più bizzarra che abbia sentito. Anche perché, se fosse tutto vero, paradossalmente si dovrebbe concludere che negli anni precedenti alla crisi e in quelli successivi, il trasferimento della ricchezza si è mosso e si muove in senso inverso.
In realtà è questa è una delle tesi (molto parziali) che gli ultraliberisti, soprattutto in America, stanno cercando di affermare forse nel tentativo di addossare tutte le colpe alla politica e scagionare definitivamente le banche dalle accuse sulle (grosse) responsabilità che hanno avuto nel costruire i presupposti della crisi. Non posso credere, però, che questo sia anche l’obiettivo di Giavazzi. È vero che durante le amministrazioni Clinton e Bush jr. il Governo ha sollecitato le banche ad allentare i criteri di concessione dei mutui per allargare la platea dei proprietari di casa, legando l’idea della cittadinanza a quella della proprietà. Però da qui a dire che i governi americani hanno provocato consapevolmente la diffusione di prodotti come i subprime e quello che ne è seguito ce ne corre. Sicuramente non hanno vigilato abbastanza – anche se questo era e resta un concetto da cui la cultura economica americana difficilmente si fa permeare – ma la diffusione dei mutui subprime è stata in massima parte responsabilità delle banche e dei banchieri che si sono tuffati a capofitto su un mercato che dava loro enormi possibilità di guadagni in termini di commissioni e di premi. Basta guardare alle cifre stratosferiche dei compensi percepiti da banchieri e bancari: solo Goldman Sachs nel 2007 – ricordava Salvatore Bragantini nello stesso dibattito – ha distribuito 22 miliardi di dollari ai suoi 40mila dipendenti. Secondo i calcoli della Fao basterebbero a portare fuori dalla povertà mezzo miliardo di persone.
«Oltre una certa soglia – ricordava Bragantini – il livello di disuguaglianza non può essere tollerabile». Neppure dall’economia. La ragione di fondo che ha portato alla crisi, prima dei mutui subprime, è che questa soglia è stata superata.
Voi cosa ne pensate? Colpa delle banche o della politica?