Poco meno di un anno fa una quota in Tod’s. Poi una in Fiat, un’altra in Mediaset e ora in Unicredit. Sempre per conto di un gruppo di investitori rimasti sconosciuti. Nel frattempo un fondo di private equity specializzato sulle pmi italiane insieme nientemeno che con Donald Trump. Nel frattempo le offerte per l’acquisto del Torino Calcio e del Bari, per conto di investitori rimasti nell’ombra. Operazioni non andate in porto ma molto chicchierate sul web. Per non parlare dell’acquisto del quotidiano Il Tempo per conto di due notissimi imprenditori con un piede in politica.
Ma chi è Alessandro Proto, titolare della omonima società di consulenza con sede legale a Lugano e sede operativa a Milano, più Barcellona, Roma, Parigi e New York, come promette il suo biglietto da visita? È un quasi-giovane intraprendente e «senza pedigree» come dice di sé stesso, che, dopo aver venduto enciclopedie a Milano, è passato all’immobiliare. Non case qualsiasi, però, ma «abitazioni di lusso per il jet set internazionale». Tutte operazioni, ovviamente, coperte dal «massimo riserbo» per tutelare la privacy delle star e praticamente non verificabili, ma sapientemente veicolate sulle riviste di gossip e sui giornali locali molto interessati – giustamente – a sapere dove compreranno casa Angelina Jolie, Madonna o Leonardo di Caprio. Dopo i rumors, però, delle star nemmeno l’ombra. Ma si sa, la vita privata delle star è sacra e va protetta. Tra le varie attività nel c.v. di Proto anche la consulenza per l'apertura di conti in Svizzera per "amici del premier Berlusconi" e la selezione di personale (con colloquio a pagamento). Tutte trovate che procurano spazio sui media. E qui devo fare un'autocritica.
Ora però Proto punta più in alto. Ieri ha annunciato, con tanto di commento “politico”, che avrebbe (il condizionale è d’obbligo) acquistato lo 0,8% di Unicredit (valore di mercato circa 120milioni di euro) per conto di «un gruppo di investitori» non meglio precisati. Guarda caso come nelle occasioni precedenti. Nel caso di Tod’s (disse di aver acquistato il 2,88%) sia la società che il collocatore Mediobanca smentirono in modo secco. Anche in Unicredit ieri l’annuncio non ha trovato riscontri. Trattandosi di quote inferiori al 2% non c’è obbligo di comunicazioni alla Consob. Ma intanto il titolo sui giornali è assicurato, anche perché alle agenzie di stampa Proto ha spiegato che l’investimento in Unicredit «segue altri effettuati negli scorsi mesi su aziende italiane per dare sostegno alle stesse in un momento così delicato per l'economia europea nella speranza che l'Italia e i politici protagonisti di questa legislatura lascino da parte per un attimo i battibecchi e pensino a come risolvere i problemi». Insomma, a metà tra un patriota e un filantropo. Ma con la visione di uno che studia da statista.
Di due cose, però, è bene che Proto sia consapevole: a giocare con i titoli quotati si rischia molto, anche dal punto di vista penale; secondo, in questo momento «così delicato», il Paese non ha bisogno dell’aiuto di investitori nascosti dietro un’opaca società svizzera in cerca di notorietà a buon mercato e sotto la lente della giustizia elvetica. Proto sa benissimo che in Borsa può acquistare chi vuole e alla luce del sole. Sempre che non abbia nulla da nascondere. E comunque, se proprio vuole aiutare il paese, la cosa più semplice che Proto può fare è convincere i suoi clienti a comprare BoT e BTp. Ma questo, è risaputo, non dà titoli né visibilità.
Giusto per fare due conti sulla base degli annunci-stampa (a cui però non è seguito nessun altro atto ufficiale) in undici mesi solo di partecipazioni azionarie la semi-sconosciuta Alessandro Proto Consulting avrebbe tirato su circa 280 milioni di euro da investitori rimasti regolarmente sconosciuti: ai 120 per Unicredit, infatti, se ne aggiungono 118 per Fiat in due tranche, oltre 35 per Mediaset e quasi 7 per Tod’s. E’ prevedibile che con un portafoglio così il socio Proto non voglia passare inosservato neppure nelle assemblee societarie. In quella di Tod’s della primavera scorsa, però, non si è fatto vivo. Per Mediaset, Fiat e Unicredit bisognerà aspettare il 2012. «Riservatezza svizzera, comunicazione all’italiana» ha scritto qualcuno.