Dopo quattro mesi di silenzio, torna la battaglia tra Guido Damiani e gli azionisti di Pomellato controllata dal fondatore Giuseppe Rabolini attraverso la Ra.Mo. di cui è socio anche l'a.d. Andrea Morante come suggerisce lo stesso acronimo. Venerdì Il Mondo ha scritto che la Tip di Giovanni Tamburi ha fatto un'offerta per rilevare il 18% di Pomellato che la famiglia Damiani, attraverso la cassaforte lussemburghese Sparkling, possiede da anni (la storia la ritrovate in un post di metà maggio).
Tamburi ha troppo da fare e non ha tempo di rispondere al telefono per una verifica della notizia. Damiani non l'ha né confermata né smentita. Gli altri azionisti di Pomellato, infine, dicono di non saperne nulla ed è lecito credergli visto che l'eventuale passaggio di mano della quota non li coinvolge affatto. Questo non vuol dire che non siano irritati per le manovre di Damiani, il quale sembra non vedere l'ora di monetizzare la quota. Non è un caso che l'offerta di Tamburi arrivi proprio in coincidenza con l'uscita di scena di Mediobanca che ha approfittato della scadenza del mandato per defilarsi.
All'istituto di Piazzetta Cuccia Damiani aveva dato l'incarico di trovare un compratore, ma l'mpresa si è rivelata più difficile del previsto anche per le richieste del venditore che puntava molto in alto: gli stessi multipli a cui è stata pagata Bulgari.
Il caso in questione però è ben diverso perché la partecipazione di Damiani in Pomellato non ha alcun peso nella governance della società milanese e dunque chiunque decidesse di acquistarla, non ha speranze di poter contare qualcosa senza l'accordo con gli altri soci. I quali sarebbero anche disposti a riacquistare dal concorrente, pur di non dover sopportare altri soci troppo ingombranti, ma a prezzi decisamente lontani dalle richieste di Damiani.
Di buono questa volta c'è che la quotazione del titolo Damiani non si è mossa granché dopo la notizia dell'offerta di Tamburi. Forse il mercato non ha preso troppo sul serio la cosa, dopo il rally di metà maggio, quando i rumors che davano tutti i principali marchi di gioielleria mondiale in fila a Mediobanca per acquistare quel benedetto 18%, provocarono l'impennata della quotazioni del titolo Damiani (+8% in una sola seduta), nonostante il fatto che l'eventuale cassa generata dalla vendita non spetterebbe direttamente alla quotata, ma alla finanziaria della famiglia.
Allora si era mossa anche la Consob che, come succede sempre in questi casi, ha verificato i movimenti sul titolo. Purtroppo è stato un intervento dai risvolti un po' imbarazzanti, visto che a quattro mesi di distanza ho dovuto insistere parecchio prima di riuscire a sapere dalla divisione mercati dell'autorità che la verifica non ha prodotto alcun risultato di rilievo. Alla faccia della vigilanza! Non solo un'eventuale sanzione a scoppio così ritardato avrebbe un'efficacia depotenziata rispetto ad un intervento immediato. Ma tanta lentezza su una vicenda di così piccole dimensioni rischia anche di trasmettere al mercato la sensazione che, tutto sommato, a fare manovre poco chiare non si corrono troppi rischi.
Consob a parte, comunque, la fiammata di primavera si è dimostrata una tempesta in un bicchiere d'acqua. Vedremo se le notizie sull'offerta di Tamburi (che potrebbe anche aver organizzato un "portage" per conto di qualcuno dei nomi circolati a primavera) si tradurranno in fatti concreti. Per ora il mercato dà l'impressione di non crederci più di tanto. E anche per questo per ora non posso dare torto a chi a maggio commentò questa storia con un lapidario quanto efficace: "Money talks, bullshit walks".