Tecnicamente è lo spiazzamento della domanda. In parole povere, si può definire l'effetto-Ikea. E' quello che succede quando, alla rirpesa dei consumi dopo un momento di crisi dell'economia, le famiglie e le imprese tornano a spendere per acquistare beni di consumo o prodotti intermedi ma in qualche modo ripartono da zero e trovano nuovi fornitori e nuovi prodotti, che prima non prendevano in considerazione. In molti casi questo accade anche perché nel frattempo magari è scuccesso che alcuni dei vecchi fornitori sono spariti, "ingoiati" dalla crisi. E così le famiglie che si sono fatte più prudenti preferiscono acquistare l'arredamento (e non solo) nelle catene low-cost, rinunciando al made in Italy.
L'effetto si vede sui conti con l'estero che mettono in evidenza un forte aumento delle importazioni, più di quanto crescano le esportazioni. L'import penetration (la percentuale di importazioni sul totale di produzione interna e importazioni nette) continua a crescere. Banalmente, è tutta ricchezza che se ne va all'estero.
Inoltre, avere un fornitore dietro casa piuttosto che a 8mila chilometri di distanza non è la stessa cosa e questo non solo condiziona la velocità della ripresa dell'economia nazionale, ma alla lunga mette a rischio la sopravvivenza del manifatturiero italiano.
Nel rapporto annuale 2010 presentato qualche giorno fa, l'Istat ha passato ai raggi X i dati voce per voce delle importazioni e delle esportazioni e ha trovato che «pur mostrando un significativo recupero dei livelli di interscambio precedenti alla crisi, mette in luce preoccupanti elementi di squilibrio della bilancia commerciale». Le «criticità» sono su entrambi i fronti. Dal lato delle importazioni «già si riscontrano significativi problemi di import penetration sulla domanda finale». Significa che la quota di importazioni sul totale di produzione e importazioni nette è aumentata dal 30,9% del 2008 al 33,3% del 2010. In prospettiva si potrebbero creare «problemi di dipendenza dall'estero per i beni intermedi e strumentali».
I settori che soffrono e quelli che vanno bene. «Dobbiamo capire se questi fenomeni siano la conseguenza della delocalizzazione produttiva o un effetto di spiazzamento della domanda che viene soddisfatta con prodotti importati piuttosto che con quelli nazionali» osserva Giovannini. Dal lato dell'export, l'Istat registra la «riduzione della capacità di esportazione delle imprese nei settori di punta della nostra specializzazione produttiva». Ma quali sono i settori che soffrono di più? La penetrazione delle importazioni si fa sentire di soprattutto per le macchine elettriche ed elettroniche, cuoio e prodotti in cuoio, mezzi di trasporto, gomma e materie plastiche, prodotti chimici e fibre sintetiche, legno e prodotti in legno, carta. «Si tratta di molti dei comparti in cui produzione interna stenta a recuperare i livelli pre-crisi» sottolinea ancora Giovannini. Per alcuni di questi settori (mezzi di trasporto, macchine elettriche, chimica) l'aumento della domanda interna viene soddisfatto con prodotti esteri in una percentuale superiore al 50% e in forte crescita. Altri comparti (cuoio o gomma) pur partendo da livelli nettamente più bassi, presentano una continua crescita di questo indicatore. Un settore che non è ai primi posti in questa classifica ma che rende bene l'idea è quello dei mobili: nel primo trimestre 2011 le importazioni sono cresciute del 12,4% su base tendenziale contro il +7,8% dell'export, mentre produzione interna e fatturato stentano a risalire dai livelli minimi toccati durante la crisi. Una sorta di "effetto-Ikea", appunto, che spinge a soddisfare la domanda con prodotti economici di importazione.
Il boom dei pannelli fotovoltaici. C'è poi un altro aspetto che nei dati 2010 è balzato agli occhi dei ricercatori: le importazioni di componenti elettronici che comprendono i pannelli fotovoltaici si sono più triplicate rispetto al 2008. È stato l'effetto degli incentivi energetici del 2010 che, in un mercato non presidiato dagli italiani, ha premiato soprattutto le aziende cinesi, seguite da quelle tedesche. Distanziate ma in fortissima accelerazione le imprese spagnole. La riduzione della capacità di esportazione delle imprese italiane nei settori di punta è dimostrato invece dalla «lentezza» del recupero delle vendite dirette nella Ue pari al 57,3% del totale delle vendite all'estero. Il timore è che il fenomeno nasconda una perdita di competitività sul fronte tecnologico, verso i principali competitor, Germania e Francia in testa. C'è di buono che le vendite verso i paesi extra-Ue hanno già raggiunto e superato i livelli pre-crisi nella seconda metà del 2010.