Lo Ior, tra opacità e riservatezza

Le dimissioni (o è stato sfiduciato?) di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior mi hanno riportato a un anno e mezzo fa, quando alcune operazioni interbancarie poco chiare finirono sotto la lente della Procura di Roma. Avevo sentito diverse fonti che conoscevano bene la questione e ne avevo scritto un lungo articolo rimasto intrappolato in qualche server. Oggi l'ho ritrovato e ve lo ripropongo così com'era.

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MILANO, 23 settembre 2010 – Le due operazioni dello Ior con il Credito Artigiano finite sotto la lente della Procura di Roma e della Banca d’Italia sono solo un tassello di un puzzle alla cui composizione i magistrati romani stanno lavorando da almeno un anno. “La punta di un iceberg” – osserva una fonte vicina al dossier – emersa dopo che la Banca d’Italia, nei primi giorni di settembre, ha esteso a tutto il sistema bancario nazionale lo schema operativo che a gennaio 2009 aveva già inviato ad alcuni dei principali istituti di credito, chiarendo che le operazioni interbancarie con lo Ior dovevano essere sottoposte alle stesse verifiche rafforzate con cui vengono passate al setaccio le transazioni con banche di paesi che, come il Vaticano, non fanno parte della white list dell’Ocse. Si tratta di paesi che non applicano procedure ritenue adeguate nella lotta al riciclaggio e al terrorismo.

Ma quella del Credito Artigiano non è stata la prima segnalazione inviata all’Unità di informazione finanziaria (UIF) della Banca d’Italia, che rappresenta la Financial Intelligence Unit italiana, ovvero la struttura nazionale incaricata di prevenire e contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. Nella relazione annuale che l’Uif ha presentato a maggio scorso al parlamento, c’era già traccia di un problema con lo Ior. “Nell’ambito dell’attività di approfondimento di alcune segnalazioni di operazioni sospette già all’attenzione degli organi investigativi – si legge a pagina 62 della relazione sul 2009 – la UIF ha rilevato, in sede ispettiva, elementi di criticità nelle prassi operative che regolavano i rapporti intrattenuti dallo Ior con un intermediario italiano”. La relazione non fa nomi, ma non sfugge che a fine novembre del 2009 la procura di Roma aveva aperto un’indagine sulle intermediazioni tra lo Ior e una filiale romana di Unicredit, proprio quella in via della Conciliazione, a due passi dal Vaticano, ex sportello di Banca di Roma.

I magistrati sono il procuratore aggiunto Nello Rossi e il sostituto Stefano Rocco Fava, gli stessi che hanno chiesto il blocco delle due operazioni che la banca vaticana aveva chiesto di effettuare al Credito artigiano nei giorni scorsi. Dalla vicenda Unicredit l’indagine si allarga. “L’ispezione – scrive ancora l’Uif a maggio scorso – ha determinato un intervento della Banca d’Italia sul piano normativo nei confronti di tutti gli intermediari interessati”.

Indagini a tappeto, dunque, dell’intelligence di via Nazionale sui rapporti tra lo Ior e tutte le banche italiane. A inizio giugno trapela che sono una decina le banche su cui si sono accesi i riflettori: “le principali” dicono le autorità. Ne è emerso un quadro allarmante: “Nella prassi lo Ior si comportava come una fiduciaria più che come una banca” racconta una fonte. “Schermava regolarmente i nomi dei titolari delle operazioni e le loro finalità. Non si atteneva, cioè, ai principi fissati dal cosiddetto questionario Wolfberg”, lo strumento utilizzato dagli istituti di credito per valutare il rischio-paese e il rischio-cliente nelle attività di contrasto al riciclaggio di denaro”. E di fronte alle richieste di informazioni su operazioni anomale intercettate dal sistema Gianos, la risposta consueta alle banche italiane (come nel caso del Credito Artigiano) era di questo tenore: <<sono movimentazioni di denaro normali nella nostra attività di sostegno alle opere di religione nei diversi continenti. Stop>>. Non un nome, un progetto, una parrocchia o una missione.

Questa risposta veniva però tollerata dalle banche, nonostante il decreto legislativo 231 del 2007 che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva europea 60 del 2005. Il motivo? L’incertezza sulla natura giurica dello Ior: è un soggetto privato, dice la Santa sede; no, è una banca, dicono le autorità italiane. E così si è andati avanti fino all’autunno 2009. L’inchiesta della Procura di Roma e l’avvio degli accertamenti da parte dell’Uif hanno imposto una svolta che è arrivata con le istruzioni di Banca d’Italia a gennaio scorso ad un gruppo di banche e poi girate a tutti il 9 settembre: lo Ior è una banca di un Paese che non rientra della white list e come tale deve impegnarsi a: 1) a verificare chi sono i titolari dei conti correnti; 2) verificare chi siano i reali beneficiari delle operazioni; 3) acquisire informazioni sulle finalità delle operazioni; 4) fornire all’intermediario italiano tali informazioni nel caso in cui questi le richieda. “Stiamo parlando di operazioni per milioni di euro alla settimana.

Transazioni in parte in bonifici, in parte in assegni ma soprattutto in contanti”. Operazioni “spesso senza tracciabilità, anche nel caso degli assegni, spesso con girate incomplete, e dei bonifici, su conti correnti numerati. Ma ciò che è impressionante è la quantità di contanti che ogni settimana con valigette di tutti i tipi entra ed esce dalle banche che lavorano con lo Ior”. Tanto che diversi istituti sono corsi ai ripari e hanno rinegoziato i modelli contrattuali con l'Istituto vaticano, adottando procedure più rigide. In alcuni casi talmente rigide da spingere la banca del torrione di Niccolò V a dirottare gran parte delle operazioni su qualche istituto più compiacente o, semplicemente, più sprovveduto. C’è chi la chiama opacità, c’è chi la chiama riservatezza. In ogni caso, sembra uno stile consolidato nell’operatività quotidiana dello Ior.

Da qui a dimostrare che dietro la riservatezza si nascondano attività di riciclaggio ce ne corre. “Il problema è che nell’opacità chi è in mala fede può muoversi con più disinvoltura” si fa notare. Gioverebbe a tutti, quindi, se quel percorso avviato quasi un anno fa dalla banca vaticana con le autorità di vigilanza italiane e internazionali per adeguare le procedure interne alle regole antiriciclaggio imposte dalla legge si chiudesse al più presto. “Per ora procede con molta molta lentezza”, notano al di qua del Tevere.

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Questo scrivevo a settembre del 2009, quando questo blog non esisteva ancora. Poi venne Gotti Tedeschi, per portare la trasparenza. L'epilogo di oggi dimostra che la sua nomina non ha prodotto i risultati che tutti, a parole, auspicavano. Ne deduco che il quadro che descrivevo allora non dev'essere cambiato di molto.

  • giuseppe chiellino |

    @abc Non so come darle torto. A volte la realtà può essere molto peggiore delle deduzioni.

  • abc |

    Le deduzioni, per fortuna, non sono la realtà

  • enrico |

    Sara bene che la gente apra gli occhi sulle vere intenzioni dei plenipotenziari della Santa Sede.
    A parole predicano la legalità ma nei fatti continuano a praticare l’intrallazzo

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