Nella Calabria fanalino di coda c’è anche chi esporta il 50% del fatturato

Nessuno si sorprende se le statistiche sulle esportazioni confermano per  l'ennesima volta la Calabria all'ultimo posto tra le regioni italiane. La quota sul pil delle cinque province non supera l'1% e l'incidenza sul totale nazionale dell'export è addirittura lo 0,1%.

Ciò che sorprende, invece, è trovare in Calabria – nell'interno, non proprio a due passi da autostrade, ferrovie, porti e aeroporti - una piccola impresa che vende all'estero la metà di quello che produce. Dai Caraibi al Giappone, passando per il Golfo Persico.

E' la "Camillo Sirianni" di Soveria Mannelli, nella Presila catanzarese, un'azienda familiare giunta alla terza generazione. Su 5,5 milioni di euro di fatturato, ci ha spiegato il più giovane dei tre fratelli proprietari, Francesco Sirianni, il 50% viene realizzato all'estero . L'azienda, fondata dal nonno più di cento anni fa, produce arredi per le scuole e mobili per ufficio. Da qui per raggiungere l'autostrada (si fa per dire, visto che si parla della Salerno-Reggio Calabria) bisogna affrontare una quarantina di chilometri di tortuose provinciali. Lo stesso vale per l'aeroporto di Lamezia. 

La Camillo Sirianni non è l'unica azienda così orientata ai mercati esteri. C'è anche la Amarelli (liquirizia, Rossano) che vende in Europa, Nord America, Australia e Nuova Zelanda circa un quarto della propria produizione, così come il Caffè Mauro di Reggio Calabria che arriva al 30% di export in accelerazione negli ultimi due anni, o Guglielmo, altro produttore di caffè, che ha appena registrato i propri marchi in Cina, Giappone e Corea del Sud e da quest'ultima vuole partire per crescere in tutto il Sud est asiatico. 

Come ci hanno detto questi imprenditori, fare impresa in Calabria non è un handicap per chi vuole esportare. I problemi sono gli stessi che affrontano le imprese delle regioni del Centro  e del Nord. E allora come si spiega quello 0,1% di media? Secondo l'assessore all'internazionalizzazione che è anche imprenditore, manca ancora una cultura imprenditoriale diffusa che spinga le imprese verso i mercati esteri. Altro limite è quello delle dimensioni: quando le imprese trovano il coraggio e la forza di andare all'estero, non hanno poi la capacità produttiva e organizzativa sufficiente per soddisfare ordini troppo grandi. Ma si sa, con un mercato interno stagnante, se non si esporta non si cresce e il cerchio si chiude. 

Dietro ciascuna delle impese citate (e anche di tante altre che non abbiamo ancora trovato) c'è un'imprenditrice o un imprenditore che fa forte l'impresa. "Non sono i soldi e le leggi a tenere in piedi un'azienda" ha detto ieri sera in Bocconi Paolo Preti, professore esperto di pmi . Qualcosa, forse, sta cominciando a muoversi. Anche in Calabria.