Istituti italiani di cultura: chiuderli o ripensarli, magari tagliando i costi?

Torno ad ospitare su questo blog una proposta di Gino Chiellino, italiano che vive in Germania da 45 anni dove è stato, fino al 2011, docente di letterature comparate all’Università di Augsburg. Questa volta si occupa degli istituti italiani di cultura, argomento di cui avevo scritto a fine gennaio raccontando cosa è successo all'Iic di Bruxelles. Quella vicenda si è conclusa con il licenziamento della ormai ex direttrice, Federiga Bindi, che ha lasciato un documento anche per rispondere alle accuse che le erano state rivolte. 

Gino Chiellino propone un ripensamento profondo del ruolo degli IIC, con qualche idea che può essere utile anche al governo Renzi, in un momento in cui c'è bisogno di razionalizzare i costi e recuperare risorse. 

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Settimane fa mi è giunto un volantino di protesta contro la chiusura dell’istituto italiano di cultura di Francoforte che in realtà è una sezione staccata di quello di Monaco. Di lì ha poco sono stato invitato a sottoscrivere una petizione contro la chiusura di otto istituti di cultura in Europa. Non l’ho sottoscritta perché petizioni senza contro-proposte perseguono altri scopi, scopi di visibilità per chi le firma. La domanda che si pone non è "chiudere o no?", ma piuttosto: "chiudere o ripensare gli istituti?"

Chi ha avuto modo di incontrare un direttore d’istituto si sarà sentito dire che i fondi a disposizione del suo istituto bastano, si e no, a coprire i costi della struttura e del personale, nonostante quest’ultimo sia assolutamente carente. Quindi per i programmi culturali rimane ben poco. Se le cose stanno così, non serve a nulla chiuderne un paio per fare sopravvivere gli altri. Gli istituti vanno ripensati e su diversi piani: lo si può fare partendo dal loro obsoleto inquadramento all’interno del Ministero degli Esteri, dalla loro funzione storica oramai superata e dalla necessaria cooperazione con gli istituti degli altri stati membri dell’Unione europea e con le istituzioni culturali del posto.

L’inquadramento degli istituti all’interno del Ministero degli Esteri è obsoleto perché gli istituti di cultura sono per contenuti e funzione parte integrante del Ministero dei beni culturali. Il passaggio degli istituti al Ministero dei beni culturali comporterebbe una notevole riduzione di costi del personale perché sarebbero scorporati dal corpo diplomatico.

La loro funzione classica di promuovere la cultura italiana ha fatto si che gli istituti fossero visti come agenzie, a cui spedire montagne di libri, cd, film, riviste, cataloghi etc. e da bombardare con migliaia mail che propongono attività culturali, oberando di lavoro inutile il personale.

Così come si stanno consociando altre funzioni a livello europeo, bisogna pensare ad una aggregazione degli istituti dei paesi membri della Ue come rappresentanti della cultura europea fuori dall’Unione. La collaborazione tra istituti di stati diversi potrebbe portare ad avere una sede comune in stati extra-europei: per esempio una sede unica a New York per tutti gli istituti dell’area mediterranea.

Ma da dove partire per ripensare gli istituti, visto che la loro funzione di agenti di scambi culturali è definitivamente superata da quando la rete offre la possibilità di vivere in diretta lo sviluppo delle culture in ogni paese del mondo e da quando agenti culturali privati si accaparrano le operazioni vincenti? Secondo me bisogna ripartire dalla collaborazione tra istituti e istituzioni culturali del posto lavorando su progetti che coinvolgono giovani scrittori, artisti, registi, operatori cinematografici, etc. etc. perché quelli affermati hanno già gli agenti che li fanno girare per il mondo.

Gli istituti devono rinunciare al lustro dei nomi famosi e puntare di più su quelli che diventeranno famosi. Proprio nel contesto del rinnovamento e delle collaborazioni l’Italia – come la Spagna o la Grecia – ha un asso nella manica, può puntare su assunzioni a km zero: dal custode al direttore dell’istituto. L’Italia ha potenzialità professionali altissime sparse per tutto il mondo, rappresentate dalle seconde, terze generazioni di cittadini italiani, che conoscono benissimo la realtà socio-culturale in cui gli istituti devono operare. Avvalersi di tali competenze significa avere una solida capacità di cooperazione con le istituzioni culturali del posto e con gli altri istituti, ma soprattutto significa un abbattimento del costo del personale a favore dei progetti culturali. E poi, a che serve un direttore d’istituto nelle capitali dove all’ambasciata c’è già un attaché culturale?

Gino Chiellino